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DIFICIL EQUILIBRIO Simétricanarquía Musea 2003 SPA

"Simétricanarquía" - il titolo è già eloquente al riguardo - è davvero un disco singolare. La quarta fatica degli ispanici Dificil Equilibrio smussa, in parte, le spigolosità crimsoniane delle opere precedenti, pur essendo anch'essa piuttosto weird. Lo strano è che, nonostante tutto, il disco si mantenga melodicamente accessibile, e questo va certo ascritto a merito del combo formato da Alberto Díaz (chitarra e voce), Joan Francisco (basso) e Luis Rodríguez (batteria e percussioni); inoltre l'ottima incisione e la perfetta preparazione tecnica del trio (coadiuvato da molti ospiti) rappresentano oggettivi punti di forza che aiutano ad apprezzare le diverse sfumature compositive della band. Le schizoidi trame di "Vidas Son Horas" sono effettivamente prossime ai moderni King Crimson, ma già qui la chitarra abbandona l'irruenza lasciando spazio a momenti più delicati ed acustici, quasi canterburiani. Raffinato è l'incedere di "El Ángel Exterminador", con un violoncello misterioso ed un assolo di tromba che accentua quella sfumatura jazzy che di sicuro fa parte del DNA dei Dificil Equilibrio. I sette minuti di tale traccia sono perfettamente bilanciati: passaggi sinfonico-romantici che rievocano i grandi gruppi inglesi degli anni '70 (di nuovo King Crimson, ma non solo loro) si alternano a ricami chitarristici degni di Phil Miller. Vi sono poi alcuni frammenti cosmico-sperimentali che sanno molto di Gong: alludo a "Penumbra" e a "Bypass", oltre ovviamente alla gagliarda cover di "Dynamite", con un notevole sax che in seguito tratteggia il sognante tema di "Ruptura3", mentre "Al Destino Devenir" presenta quei crescendo tonali tipici di Mr. Fripp. Quando credevi di aver capito, se non tutto, perlomeno abbastanza, ecco che vieni spiazzato da una triade consecutiva di pezzi dallo spiccato sapore etnico: il simpatico "Jaqueline", "Zakarit Mena Al Maghreb" e il suo tribalismo nordafricano, l'arzigogolato "Trayecto". La conclusiva title-track funge un po' da compendio di tutte le influenze già citate, esplicitando che ogni cosa è semplice e complicata, al tempo stesso, nei brani della band spagnola. A tratti affiora una leggera frammentarietà, forse figlia di quel briciolo di autoindulgenza con cui i Dificil Equilibrio reputano urgente dimostrarci di esser bravi a fare tutto; si tratta comunque di un peccato veniale che non può modificare la positività del giudizio su una bella realtà del panorama progressivo mondiale.

 

Francesco Fabbri

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