Terzo album, giunto a distanza di un anno dall’interessante “Mysticae Visiones”, per questa valida band ispanica, attorno al cui nucleo stabile ruota un gruppo variabile di musicisti. Il percorso sonoro intrapreso appare in continuità con le esperienze del passato: abbiamo quindi una musica dall’architettura complessa e delicata, cerebrale ed introspettiva, dal carattere crepuscolare. Pur essendo un lavoro piuttosto sinfonico, è sempre presente un certo spirito di ricerca e sperimentazione. Un costante ricordo delle malinconiche e complesse composizioni di Debussy ci accompagna nel corso dell’ascolto, particolarmente accentuato per quanto riguarda gli elementi pianistici. Non mancano improvvise e brevi accelerazioni con fughe di tastiere pompose che però sfociano sempre in un etereo mare di tranquillità. Delicati intrecci di flauto, frammenti di elettronica minimale e fusion si abbracciano in armonia. Le parti vocali sono ora quelle di Carolina Prieto, la cui voce ricorda il suono di uno strumento musicale, ed ora quelle di Juan Olmos che in “Fuego” agisce più che altro da voce narrante. L’album è comunque per la sua quasi completa estensione strumentale. La durata dei brani è mediamente breve, con delle punte di 14 e 12 minuti per i due pezzi più estesi. In chiusura è inserita una preziosa e delicata suite spezzettata in 7 movimenti della durata di un minuto circa ciascuno, interamente interpretata col pianoforte. Le tracce sono comunque poste in stretta continuità, tanto che il passaggio fra un pezzo e l’altro si avverte con estrema difficoltà. Pur essendo incredibilmente cangiante, la musica dei Kotebel è dotata di una costante unitarietà di stile che rende il loro sound caratteristico ed inconfondibile. L’aspetto più interessante sta tuttavia nello studio preciso dei minimi dettagli che dona un certo fascino ad ogni più piccolo frammento.