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HOPO |
Dietro la finestra |
autoprod. |
1991 |
ITA |
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E' finalmente realtà il secondo disco degli Hopo, gruppo fiorentino già autore, nel 1982, di un LP assai ricercato dai collezionisti. Ebbene, "Dietro la finestra" è certo un lavoro che non vuole passare inosservato, a cominciare dall'interessante copertina, ben calata in ambientazioni e stilemi progressivi, tradotti in vivacità coloristiche forse fin troppo esplicite, anche se di indubbia efficacia. Analizzando l'aspetto prettamente musicale, viene quasi fatto di pensare ad una scuola fiorentina, dal momento che gli Hopo possono essere per alcuni aspetti accostati ai concittadini Nuova Era, con i quali condividono le ampie leggiadrie e, in generale, la destrezza compositiva tipicamente seventies. Forse gli autori di "Dopo l'infinito" vantano tuttora una maggiore complessità di arrangiamenti, ma gli Hopo, come gusto melodico puro e assoluto, non sono inferiori a nessuno. Questo "Dietro la finestra" sgombra il campo dalle incertezze e dalle discontinuità dell'esordio "Senti", regalandoci sei brani capaci di un grande coinvolgimento emotivo. Tra i riferimenti più prossimi vengono ricordati Genesis, Orme, Banco e PFM; ad essi mi sentirei di aggiungere la Locanda Delle Fate, citazione davvero d'obbligo per quanto concerne il prog italiano anni '70 di marca romantica. Mi preme qui sottolineare la performance di Paolo Tovoli, vocalist ottimamente dotato dal lato timbrico e in grado, con le sue sapienti interpretazioni, di caratterizzare da solo situazioni ora distese, ora drammatiche. Non è poco, se si considera la grande penuria di talenti naturali in questo ruolo, in Italia e fuori, negli ultimi 10 anni. L'altro elemento di spicco è il batterista Enrico Barbieri, strumentista che sa coniugare al meglio doti istintive e tecniche, fornendo un drumming nervoso e scattante. Manca forse il pezzo memorabile, il vero capolavoro; ma in fin dei conti "Un uovo di cristallo" e "Non era un fiume" ci vanno piuttosto vicini, pur calati nell'omogeneità del contesto generale. Dunque un disco da ascoltare a tutti i costi, carpendone con avidità le sottili sfaccettature, non cercando inutilmente un'animaccia rock che apparirebbe fuori posto. Un lavoro comunque essenziale, che pone Firenze e l'Italia tutta ai vertici del mondo progressivo.
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Francesco Fabbri
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