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HAMADRYAD |
Safe in conformity |
Unicorn Records |
2005 |
CAN |
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Gradito e atteso ritorno, a 4 anni di distanza dall'ottimo esordio, per questa valida band canadese. Il tempo che separa i due lavori ha segnato dei cambiamenti, uno dei quali, mi riferisco all'abbandono del lead vocalist Jocelyn Beaulieu, non affatto facile da metabolizzare. Dalle note biografiche emerge che il distacco è avvenuto in maniera cordiale e la band ha preferito aspettare prima di affidare in maniera precipitosa il ruolo di front man ad un nuovo artista. Per il momento il bassista Jean François Desilets, che già divideva questo ruolo (nel precedente lavoro) con Jocelyn, si fa interamente carico, devo dire abbastanza dignitosamente, delle parti cantate. Purtroppo non è facile sostituire Jocelyn, prima di tutto perché il suo modo di cantare, istrionico e flessibile, era quasi un marchio di fabbrica e poi, con un cantante in meno, non è possibile dare forma a tutti quei giochi ed intrecci vocali che contribuivano a rendere intrigante le composizioni di questa band. Dovremo quindi accontentarci (si fa per dire, visto che la proposta è decisamente di valore) di linee vocali più semplici ed uniformi che in qualche occasione non si mostrano, ohimé, del tutto all'altezza della sofisticata proposta musicale. Tutto sommato la semplicità della voce vagamente Gabrielliana di Jean François si adatta in maniera graziosa ad un tessuto sonoro divenuto più intrecciato e complesso rispetto agli esordi.
E' rimasto inalterato l'aspetto sinfonico dello Hamadryad sound (è proprio il caso di dirlo) che si presenta eclettico e decisamente personale, nonché di assimilazione non immediata. I riff energici di "Self Made Man", gestiti in sinergia da organo B3 e chitarra elettrica, sono utilizzati per accrescere la dinamicità della canzone senza smorzare la sinfonicità della musica sempre ricca, elegante e stratificata. Il brano, fra i più validi dell'album, è stato incastonato fra un'ouverture ed un epilogo brevi e di atmosfera e, oltre agli innumerevoli spunti che si possono cogliere, offre ampio spazio ad assoli di chitarra e tastiere ricchi di gusto e tecnica. La chitarra acustica viene ampiamente utilizzata andandosi ad intrecciare e confondere morbidamente con gli altri strumenti, creando un insieme sonoro vivace e variegato. La graziosa "24", dalle sfumature blues, presenta degli intriganti assoli di chitarra acustica che si stagliano su un sottofondo tastieristico raffinato.
A dire il vero ogni strumento non si astiene dal dire la sua: il lavoro della sezione ritmica è encomiabile ed il basso si rende spesso protagonista. La libertà espressiva dei diversi musicisti ricorda una certa attitudine del rock fusion senza comunque invadere mai direttamente questo territorio. L'ascolto dell'album è sempre stimolante, come accade per tutte quelle band che non puntano sull'effetto immediato ma che lavorano in profondità su un sottofondo sonoro elaborato e denso di idee. La particolare "Polaroid Vendetta" si divincola attraverso una serie funambolica di cambi di tempo: i livelli raggiunti sono notevoli, con qualche riserva, in questo caso, per il cantato, forse troppo monotono. Ancora da segnalare il lungo pezzo di chiusura di oltre 11 minuti, "Omnipresent Umbra": un interessante campionario di raffinatezze progressive.
Il risultato complessivo è di alto livello anche se si sente un po' la carenza di melodia (compresi quei fattori che fanno rimanere una canzone nella memoria) e di attenzione per la forma globale delle singole canzoni, le quali seguono il loro percorso un po' contorto senza far capire mai dove arriveranno. Questo potrebbe rendere l'ascolto un po' faticoso ma non fraintendetemi, non lo considero un vero e proprio difetto: fa parte della sensibilità compositiva del gruppo che ha confezionato ancora una volta un prodotto di gran pregio.
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Jessica Attene
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