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VOX TEMPUS |
In the eye of time |
Progman Records |
2004 |
USA |
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Ancora prog-metal. Sono trascorsi ormai oltre dieci anni da “Images and Words” dei Dream Theater, opera stupenda, che ha saputo coniugare la classe del pomp rock americano con l’hard tecnologico dei Rush. Molti da allora hanno provato a seguirne la strada, con la conseguenza che il mercato si è in seguito paurosamente inflazionato, soprattutto in Germania e Italia. Ad un certo punto, le produzioni si potevano dividere tra quelle che privilegiavano l’aspetto chitarristico e quindi la componente metal e quelle che invece si orientavano sul fronte della melodia e lasciavano più ampio spazio alle tastiere. In questa seconda cerchia si può far rientrare questi Vox Tempus, autori di un’opera tanto dignitosa quanto inutile. Duole dirlo, ma di questa musica non vi è oggi più bisogno. Perché veramente troppa se n’è prodotta. Niente da dire sulla registrazione e la perizia esecutiva dei diversi membri, niente da dire sulla vena melodica di questi nove pezzi (talora persino un po’ troppo commerciale). Il problema è che manca quel quid capace di elevare la proposta al di sopra della media attualmente conosciuta, facendone un qualcosa da cercare con convinzione. L’iniziale “For Every Life” non è male, ma le parti di chitarra sono un po’ monotone. Anche la seconda canzone, “Escape”, soffre di scorie speed non del tutto assorbite. “Broken” cerca di fare il verso a “Another Day” e “Surrounded”, del Teatro dei Sogni, che resta però un modello ben lontano. “Foreshadows” è un semplice interludio, mentre i successivi tre brani scorrono senza lasciare il segno, pressoché indistinguibili tra di loro. La mini-suite “Love, Lies and Treason” fatica molto a decollare e si trascina stancamente. Non manca il classico lento strappa-lacrime, ma la conclusiva “Steal the Moment” starebbe forse meglio in un disco qualsiasi di AOR. Chissà perché ci vedo, dietro, l’ombra di Bon Jovi e Dokken... Insomma, non ci siamo. Non basta dividersi tra riffs granitici e parti più ariose, condite da qualche acuto in falsetto. Dispiace, ma così proprio non va...
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Davide Arecco
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