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VIOLENT SILENCE |
Kinetic |
Progress Records |
2005 |
SVE |
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Il debutto discografico di questa band di Uppsala (nord della Svezia) risale a due anni orsono e suscitò moderati entusiasmi tra i numerosi aficionados della scena scandinava, presentando un suono elegante ma un po’ più ordinario e anonimo rispetto a buona parte dei loro conterranei.
La particolarità della band era la mancanza di un chitarrista tra le sue fila e per compensare questa lacuna, i membri fondatori (il tastierista Hannes Ljunghall e il batterista Johan Hedman) hanno pensato bene di assoldare… un secondo tastierista! Siamo quindi in presenza di un’originalissima line-up la cui configurazione rimanda a band dai trascorsi illustri come Rare Bird e Greenslade, ma il prog offertoci dai Violent Silence non ha pressoché nulla in comune con questi gloriosi alfieri dei tasti d’avorio, così come non siamo certo di fronte ad emuli di EL&P: i nostri si riallacciano piuttosto al discorso di alcune band degli anni ’90 come gli svedesi Twin Age (senza però ripercorrerne le orme genesisiane) o gli olandesi Cliffhanger, proponendo sonorità vagamente oscure ma non troppo impegnative.
Le otto tracce che compongono l’album variano notevolmente in durata e complessità, passando da brevi passaggi d’atmosfera - posti come apertura, chiusura o interludio - fino ai 18 minuti della suite “Quiet Stalker”; gli arrangiamenti complessi, le ritmiche frastagliate (con un basso mai confinato nelle retrovie) e le timbriche multicolori dei synth ci fanno dimenticare quasi completamente l’assenza delle chitarre, pur nell’ambito di una proposta energica che avrebbe comunque beneficiato delle possibilità offerte da un parco strumenti più ampio.
In alcuni frangenti sembra addirittura di ascoltare un gruppo prog-metal (semmai questa definizione possa essere applicata in assenza del suo strumento principe), come nella title-track, in cui la sezione ritmica si lancia in evoluzioni frenetiche, con il doppio synth spesso su timbriche “elettroniche” ed il cantante Bruno Edling (dotato di una voce non molto personale e un po’ monocorde, ma adeguata al contesto) a infondere un’atmosfera leggermente claustrofobica.
Non mancano però le ballate a rallentare opportunamente il corso dell’album, come “Sky Burial” posta a metà del disco: qui l’atmosfera ipnotica può riportare alla mente qualcosa dei Landberk (con le dovute distanze!).
Una costante del suono dei Violent Silence, evidenziata soprattutto in “Torrential Rains”, è la presenza di un synth dalla timbrica pastosa e analogica a sottolineare le melodie vocali ed un altro dalle scarne sonorità digitali (o di vibrafono) ad assecondare le ipercinetiche scorribande percussive.
Poco cambia nel piatto forte “Quiet Stalker”, una canzone lunga più che una suite, che conferma le caratteristiche già descritte: menzione speciale per il fantasioso batterista, partecipe alla costruzione del tessuto musicale al pari degli altri strumentisti (e forse proprio qui sta il segreto!); se proprio vogliamo essere pignoli alcune soluzioni ritmiche possono suonare un po’ forzate, ma non ci si annoia mai.
A chi consigliare quest’album? Sicuramente se apprezzate un prog moderno sia nella produzione che nelle sonorità, ma senza allontanarsi dall’ortodossia sinfonica (come quello proposto recentemente dai Liquid Scarlet, secondo me il paragone più calzante) questo disco gradevolissimo può fare per voi, anche se dubito possa rimanere negli annali come una pietra miliare della ricca scena scandinava.
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Mauro Ranchicchio
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