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ZELLO |
First chapter, second verse |
Lion Music |
2004 |
SVE |
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Un album in studio, ma non propriamente una novità: il titolo di questa produzione degli svedesi Zello è un gioco di parole per indicare che si tratta in realtà di un remake dell’album di esordio eponimo risalente al 1996, registrato con una diversa line-up e con l’aggiunta di un paio di brani inediti, forse per incoraggiare all’acquisto chi già possedesse l’originale. Il principale elemento di novità consiste nell’introduzione nei ranghi di un chitarrista, nella persona di Janne Stark (già nei Locomotive Breath): chi conosce la musica degli Zello sa che abbiamo a che fare con una band la cui manifesta ispirazione sono i Kansas del periodo d’oro (quelli guidati in tandem da Livgren e Walsh, per intenderci), con due tastieristi (Anders Altzarfeld e Mats Olsson) e soprattutto il violino di Lennart Glenberg a condurre le danze. Se da una parte l’inserimento delle sei corde ha ampliato le possibilità espressive della band, dall’altra l’ha ricondotta ad un ensemble più tipicamente rock, dalle tendenze hard ora piuttosto pronunciate e dovute all’intensivo uso di power-chords dal retrogusto… metallico, che irrobustiscono la struttura dei brani al prezzo però di banalizzare un po’ la proposta.
Abbiamo così un’alternanza tra energici brani di pomp-rock di durata elevata e provvidenziali intermezzi acustici dal sapore folk in cui flauto, clavicordio e violino acustico sostituiscono la band elettrica. Tra i primi si distinguono la trascinante apertura “Fairy Queen” in cui possiamo apprezzare il lavoro di synth, il potenziale singolo “Hold on” dall’incedere orientaleggiante e le movimentate “The children are crying” e “The angels have fallen”, con il violino elettrico a tessere trame originali, spesso introducendo le melodie lasciandole poi sviluppare al resto della band.
Nonostante gli arrangiamenti siano pregevoli e la tecnica non faccia certo difetto al sestetto, a metà dell’album si tende però ad un calo di interesse dovuto alla ripetitività della formula e si ottiene quasi l’impressione di ascoltare variazioni sullo stesso tema. Inoltre, la buona prova del cantante Pelle O. Saether, a suo agio sulle tonalità alte, non basta a nascondere che le linee vocali spesso non siano all’altezza delle parti strumentali, costituendo l’aspetto meno interessante del sound degli Zello. Quest’ultima critica mi costringe ad essere un po’ cauto nel consigliarvi l’acquisto, se però i Kansas sono la vostra band preferita (l’inedita “Traffic Jam” contiene addirittura una citazione della classica “Carry on wayward son”) e non disdegnate la proposta di altre band dall’approccio epico come gli Shadow Gallery, allora potete andare abbastanza sul sicuro con quest’album.
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Mauro Ranchicchio
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