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KARI RUESLÅTTEN |
Other people's stories |
GMR |
2004 |
NOR |
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Prima cantante dei Third and the Mortal – con i quali ha realizzato i mini “Sorrow” (1993) e “Nightswan” (1995), nonché il masterpiece “Tears Laid in Earth” (1994) – la vocalist norvegese si è resa protagonista di un cambiamento di pelle sotto certi aspetti stupefacente. Se le “Demo Recordings” (1995), incise in principio solo su nastro, e l’esordio “Spindelsinn” (1997) parevano voler proseguire sulla scia del gothic sinfonico, con inflessioni ora doom ora romantiche, con “Pilot” (2002) le cose hanno iniziato a cambiare, introducendo una decisa virata stilistica. Questo nuovo cd lo conferma pienamente. Coadiuvata da vari collaboratori e ospiti, la singer di Oslo mette in mostra le proprie indubbie doti e qualità canore nell’iniziale title-track: pare quasi di ascoltare una moderna versione dei mitici Trees o Spriguns, con arpeggi di chitarra classica e voce in primo piano. “Sorrow to my Door”, guidata dal Fender Rhodes, alterna parti più lente e ipnotiche a pure esplosioni di melodia. Vasto spazio viene lasciato, nel finale, a vocalizzi di grande intensità. In “Cry”, la bella cantante norvegese ci culla ancora con il suo folk nordico, arrangiato in maniera moderatamente tecnologica. E’ poi la volta di “Dogs Star”: un brano più elettronico e drammatico, in cui il cantato si fa teso e sofferto. La seconda parte del pezzo, in particolare, è tutta giocata sul continuo rincorrersi delle voci. “When Lillies Bloom on Winter Days” ricorda maggiormente – ma resta forse l’unico episodio – il passato di Kari con la sua ex-band, mentre la successiva “Push” è cupa e sperimentale, vagamente crimsoniana e dominata dai sintetizzatori. La seguente “Ride” è contrassegnata da dissonanze e atmosfere celtiche. Si tratta di una composizione compatta e molto dark-prog, giostrata su tastiere e batteria (sapientemente) programmata. I campionamenti sono difatti molto presenti, ma Kari ci spiazza con un break centrale che è pura dolcezza scandinava. “Fishing” entra in punta di piedi, sembra una malinconica cantinela infantile, largamente impostata su note sovracute. La voce è anche qui protagonista assoluta. “Carved in Stone”, colta e curatissima, avvicina e distanzia i suoni, prima di un refrain raffinato ed elegante. “Life” è – semplicemente – soave e stupenda, difficile da descrivere come sempre avviene per l’autentica bellezza. Ha solo un difetto: è troppo breve. Chiude “Orlando”, introdotta dal basso acustico: quasi un madrigale fuori dal tempo. Questo compact, in definitiva, è vario e complesso nella sua proposta musicale. Opera di non facile assimilazione, costantemente in bilico tra dark-prog e folk post-moderno, non senza stacchi rumoristici alla David Cross, “Other People’s Stories” non conosce né pause né cadute, rappresentando per Kari il disco della raggiunta maturità artistica e compositiva.
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Davide Arecco
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