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SONIC MUSIC The prisoner autoprod. 2006 USA

Mettiamo che stiate passeggiando in città e nella vetrina del vostro negozio di dischi preferito vediate la copertina di questo CD con un cartellino che recita una formula che dice più o meno: "prog sinfonico in stile Yes, Gentle Giant, Genesis con un tocco di sensibilità pop". Ecco, vi direte, magari si tratta di un gruppo derivativo ma se questa è la ricetta, sicuramente sarà qualcosa quantomeno di gradevole. L'idea dell'acquisto inizia a farsi sempre più concreta e alla fine abboccate alla gustosa esca. E' vero che nel CD in esame, in maniera sparsa, potrete trovare tutti o quasi gli ingredienti promessi, ma non sempre avere degli ingredienti di prima qualità significa saper cucinare, neanche se il cuoco in questione è americano e quindi in teoria dovrebbe essere abituato, in relazione alla sua scuola, a miscelare in maniera eclettica ed invitante i vari componenti. Ma facciamo un salto in cucina, certo non è sempre raccomandabile, neanche nei migliori ristoranti, ma in questo caso andiamo a sincerarci della qualità effettiva degli ingredienti che purtroppo, dobbiamo notare, sono in realtà di seconda scelta: più che ai maestri degli anni Settanta, lo sguardo sembra posarsi verso i vari OGM del prog fra cui Cairo, Magellan e Spock's Beard! Si, ci sono anche i Genesis, ma nella loro versione meno appetibile di fine anni Settanta. Quanto detto potrebbe bastare a farvi scappare inorriditi: diciamolo, non si tratta di un clamoroso disastro ma bisogna però constatare che in giro si leggono delle recensioni decisamente sovradimensionate. Che dite? A qualcuno questi gruppi che scherzosamente ho definito OGM piacciono davvero tanto? Lasciatemi pure spiegare che quelli che ho definito come ingredienti di seconda scelta in realtà sono serviti con molta sciatteria e poco senso estetico, insomma, senza quella classe che almeno poteva evidenziarsi nei gruppi summenzionati. I suoni in questo caso sono sintetici ed opachi ed il lavoro di produzione non ne esalta certamente lucentezza e potenza ma li infiacchisce addirittura. La voce di Larry Benigno, che in realtà è un polistrumentista che fa quindi sia da cuoco che da aiuto e cameriere, tutto da solo, è sulla falsariga di quella di Phil Collins, ma non è altrettanto gradevole. Insomma non so veramente cosa ci abbiano visto in questo album che apparentemente sembra avere diversi motivi di attrazione per gli amanti di prog sinfonico, e che in fin dei conti poi non è neanche sgradevole, ma che ad un'analisi più mirata si rivela una collezione di banalità copiate e realizzate in maniera approssimativa. Facciamo i complimenti al cuoco per aver fatto tutto da solo, non è semplice è vero… ma a me piace la vera cucina e non le portate di plastica che occhieggiano nelle vetrine dei ristoranti per turisti.

 

Jessica Attene

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