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ADDAMANERA |
Nella tasca de il zio |
Trovarobato/Lizard |
2005 |
ITA |
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Dadaismo, lucida follia barrettiana, dove il Battiato dei primi anni incontra Wyatt di “Moon in June”, Ayers di “The Oyster and the Flying Fish”, gli arpeggi solari della prima PFM e dell’atmosfera visionaria e trasognata di Branduardi, in un mondo psichedelico, visto da sotto la superficie dell’acqua.
Misture di tempi dispari e disparati, voci, gorgheggi e cantilene infantili che sposano Bennato a Battiato, strana sperimentazione, volteggi su un palco musicale fatto di canovacci in riscrittura, che generano uno strano sincretismo di idee provenienti da mondi diversi e spesso opposti.
Gli Addamanera sono siciliani di Messina e indirizzano, dal 2000, l’ascoltatore dicendo di creare musica componibile.
La matrice ispiratrice è la stessa che ha portato i Mariposa a far musica senza però sparpagliare il suono in frasi troppo oltre le righe. Gli Addamanera riescono a contenere il suono e le parole all’interno di una superficie poliedrica ma ben definita i cui lati rispecchiano alternativamente la luce del sole. 11 brani atipici e vari per lunghezza e ispirazione, ma con, in comune, quella maniera eterea di raccontare una storia dicendo, talvolta, l’esatto contrario.
“Neurogenesi” è per certi versi il pezzo più prog del disco, con il suo finale poliritmico un po’ Area e un po’ PFM, ma con inizio a cantilena folk. Qui e là spuntano arpeggi fenomenali ed evocativi, flauti fiabeschi, frammenti di cose che inserite nel contesto dei brani e dei testi così atipici, ne fanno dei gioiellini, come in “Gli altri non sapevano niente” o la prima parte di “La Barca”. Ci sono poi tracce di sperimentazione psichedelica tra Battiato, Barrett e Venegoni, come nella seconda parte di “La Barca” o nel finale di della lunga “Lemonjelly”.
Cantilene insradicabili dal cervello, che vi possono accompagnare per giorni interi senza riuscire a cantare nient’altro, come ne “Il Piromane” che ci fa capire che: “Un piromane è un piromane tutto l’anno, d’estate, d’inverno e capodanno”, oppure quella interminabile di “Lemojelly” che ripete: “Me ne vado sul cervello” concatenato una volta in sei battute e una volta in cinque battute, su un tempo in quattro, o quella che dice “L’universo intero mi sembrava abbastanza vasto per soddisfare e guardare bene” appartenente ad un altro esperimento per “La reale forma del vaso”, che apre con l’arpeggio di “Dotti, medici e sapienti” di Bennato e sfocia in una canzone tanto, tanto Battiato, con qualche accenno all’andazzo melodico di “Bandiera Bianca”. “Libellule”, cantata in inglese, ricorda le nenie dei giochini dei bimbi o delle giostre di cavalli al luna park, mentre di sapore più orientale, magistralmente prog nella sua conclusione è “Il vaso”. Chiusura del disco con due brani dialettali il primo “Viandante” un minuto e mezzo di grande melodia mediterranea, il secondo che in certi momenti mi pare l’esempio di Canterbury a Messina.
Il disco è suonato e cantato veramente bene. La scelta degli strumenti classici e tradizionali anche del folk, affiancati a quelli normali del rock, è perfettamente azzeccata, dal marranzano, all’oboe, alla viola, alla fisarmonica, al flauto o al clarinetto.
Un lavoro estremamente piacevole, meritevole di essere ascoltato e consigliato. Non è un disco invadente e questo è il suo punto di forza, ma anche l’apertura del baratro verso l’indifferenza. Attenzione a non sottovalutarlo.
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Roberto Vanali
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