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RENAISSANT South of winter TJS 2005 UK

Quello che può sembrare a prima vista un errore di battitura è in realtà il nome scelto da Terry Sullivan, storico batterista dei Renaissance del periodo “classico”, per pubblicare il proprio esordio solistico, dopo la fine prematura del progetto di reunion della seminale band inglese.
Avevamo infatti perso le tracce di Terry ed i suoi dopo l’apprezzabile ritorno sulle scene con l’album “Tuscany” ed un disco live registrato in estremo oriente; ritroviamo qui il batterista assieme… alla sua famiglia (sua moglie Christine, che come vocalist perde purtroppo lo scomodo confronto con Annie Haslam, i suoi figli Lee, Kristian e Derrick rispettivamente alle tastiere, alla chitarra e al basso) e ad altri collaboratori tra cui il sopraffino tocco pianistico del suo ex-compagno di band John Tout e Martin Orford (IQ) al flauto in un brano. Lo stesso Terry si cimenta alla voce solista un paio di volte con esiti appena sufficienti, il suo timbro un po’ incerto può ricordare quello di Andy Latimer.
Tutte le musiche sono composte dallo stesso Sullivan, il cui talento compositivo non è mai stato sfruttato appieno nelle fila dei Renaissance, mentre le liriche di molti brani sono firmate da Betty Thatcher (ora Newsinger), la poetessa che impreziosì con i suoi versi album come “Scheherazade” e “Turn of the Cards”, altro elemento di continuità con la storia della gloriosa band.
La proposta non si discosta molto da ciò che a questo punto ci si potrebbe attendere, un soft-prog di classe dalle ritmiche prevalentemente pastorali e dalle sonorità quasi esclusivamente acustiche, spesso classicheggiante ma allo stesso tempo di facile ascolto.
La gradevolezza dei nove brani, la cui durata si attesta attorno ai cinque minuti, non può nascondere però l’assenza dei picchi creativi raggiunti dalla band madre ed è evidente che siamo piuttosto lontani dal pathos suscitato dalle interpretazioni della Haslam: l’album costituisce un ascolto perfetto se si cercano melodie che infondano serenità - e ne consiglio spassionatamente un ascolto serale come antidoto allo stress della giornata lavorativa e del traffico - ma analizzando i singoli brani in modo sistematico si nota una certa piattezza di fondo che rischia di trasformarne l’ascolto in un’esperienza avara di emozioni.
Brani da segnalare? Su tutti gli altri direi “Dove” per la struttura un po’ più articolata e sinfonica, grazie agli archi ed il flauto di Orford (a proposito, perché non lo usa più nei dischi degli IQ?) che ne impreziosiscono l’arrangiamento, l’evocativa “Morning”, semplice ma efficace e soprattutto la conclusiva, corale title-track.
Dedicato ai nostalgici dei Renaissance, con l’avvertimento che in questi solchi troveranno solo parte della magia del passato (d’altronde come non sentire la mancanza della “penna” di Michael Dunford?).

 

Mauro Ranchicchio

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