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ZEN CARNIVAL |
Bardo |
autoprod. |
2006 |
USA |
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Gli Zen Carnival sono un gruppo degli United States della zona di Boston, nato dalle ceneri di due sconosciute band di nome Eos e Sol. Il loro primo disco datato 1999 passò quasi inosservato, ma recensito su queste pagine. Penso che pochi, proprio pochi a distanza di sette anni avrebbero scommesso su un’altra uscita, invece eccoli qui.
Bardo è un disco di prog piuttosto easy, diciamo collocabile vicino ai lavori di Enchant, Kino, Frost* e qualcosa di IQ nella loro versione più pop. Quello che crea una certa dose di distinguo è la lieve vena jazz che si ascolta tra le tracce di questo lavoro, dovuta essenzialmente al lavoro del bassista e del chitarrista che non nascondo le loro origini di jazz trio.
Lo sviluppo sonoro ci parla di un disco piuttosto canonico ed omogeneo, senza picchi di inventiva e con molti momenti che vanno poco oltre il prog pop-oriented. Si avvertono cose più personali sia nei momenti più vicini allo schema della canzone, sia nei momenti dove il gruppo sfocia verso un prog di stampo tradizionale/sinfonico, con temi concettualmente più elaborati, tempi dispari, e qualche cantato metricamente più azzardato, anche se permeati del “già sentito”, salviamo comunque quella leggera impostazione jazz, che come detto crea un po’ di personalità.
Dodici le tracce dai 2 ai 10 minuti tra le quali spiccano la bella impostazione del cantante, molto cangiante e versatile, il drumming pulito e preciso del batterista di scuola Rush (a detta dello stesso) e il buon uso delle tastiere, specie del pianoforte e una chitarra molto professionale che fortunatamente si stacca dallo stile Rothery fotocopia.
Tra i brani citabili l’opener “Solar Circe” un prog dai suoni molto moderni e dalla ritmica personale; “Blindess” seppur basata su un crescendo canonico con inizio soffuso, apertura e finale epico, si distingue per la pulizia esecutiva e concettuale; “Half Awake” apparentemente un lento quasi danzabile, si scopre poi essere giocato su un tempo di 11/8 non propriamente danzerino; “Pins And Needles” il brano più lungo del lavoro, giocata piuttosto bene tra parti cantate e strumentali con accenni orientaleggianti; il finale nostalgico ed evocativo di “Coda”
Complessivamente il giudizio è positivo, il disco ha bei suoni, è ben suonato e ben presentato, non c’è nulla da strapparsi i capelli, nulla di nuovo e nulla di geniale, ma per quasi 70 minuti di buon ascolto lo si può anche andare a comprare.
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Roberto Vanali
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