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INTERPOSE+ |
Indifferent |
Musea/Poseidon |
2007 |
JAP |
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E’ curioso come spesso nessuno tenda ad accorgersi delle cose più palesi. Per curiosità ho cercato altre recensioni in rete riferite a questo lavoro, lo faccio raramente, non per non essere influenzato, tanto lo so che la mia stesura non avrà nessun riferimenti a nessun’altra. Comunque nessuna recensione, proprio nessuna e nemmeno la scheda biografica redatta dalla Musea, ha lasciato trasparire quelle che sono le reali derivazioni di questo disco. Sembra quasi che i recensori si siano accontentati di un ascolto frettoloso (forse del solo loro primo disco?!?) e buttato giù un po’ di nomi grossi che tanto “comprendono sempre tutto”. Così si parla un po’ a ragione e parecchio a torto, di Echolyn, di KBB, di Outer Limits e Pageant, di Emerson, Lake and Palmer, Wappa Gappa, Magdalena ecc… Ma signori (tutti) avete mai ascoltato i tre dischi della band di Bill Bruford? Addirittura qui troviano delle palesi citazioni, ci troviamo al cospetto di un disco quasi canterburyano, che si allontana parecchio dalle sonorità già piuttosto belle dell’albun d’esordio del 2005, prettamente sinfoniche e con qualche lieve intrusione jazzy.
Piuttosto breve, il CD dura poco più di 41 minuti presenta sei brani di durata 6/8 minuti, cantati in giapponese e suonati in maniera molto piena e ricca di continui cambi, dove gli assolo, belli, fluidi e personali corrono, inseguendosi ininterrottamente per la stragrande parte delle porzioni strumentali. Così sembra che il line up abbia avuto un gran lavaggio di cervello a furia di ascolti di Jeff Berlin, Dave Stewart e Allan Holdsworth e più di una volta alla fine di un passaggio intricato e dilatato ci si aspetta che inizi il cantato di Annette Peacock come su "Feel Good To Me". Clamoroso l’inizio del secondo brano "Man From The Forest" a metà strada tra il citato disco e il primo dei National Health dove la voce della bravissima Sayuri Aruga porta ad un intermezzo con basso liquido e sinuoso in pieno stile Canterbury. Altrettanto classico nel suo stile è l’avvio della successiva Dayflower pt 3 dove, per la parte centrale, possiamo anche scomodare alcune sonorità di Wyatt e di "Rock Bottom". Poliritmica, incredibilmente efficace e Brufordiana "Heliopause" con un gran organo a fare tappeto e una parte più jazz quasi improvvisata. La chiusura è dedicata a due brani da brivido, Alive dopo i primi momenti cantati in stile molto prog nipponico porta ad una serie di assolo in cambio continuo di grande fascino e rara bellezza sinfonica e "Anonymus" il cui start è tra le cose più belle che abbia sentito di recente e l’avvio del cantato, riproposto anche durante il resto del pezzo, è la riedizione del brano "Sliding Floor" dell’album "Gradually Going Tornado": è ancora Bill Bruford a lasciare gli spunti di quello che secondo me è il vero disco di riferimento.
Un lavoro degno di ogni considerazione, ben composto, ben suonato, ricco di accenni che hanno valore al di là di quanto citato. Lavoro da ascoltare e riascoltare senza possibilità di noia, per me tra le migliori uscite dell’anno.
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Roberto Vanali
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