|
PULSAR |
Memory ashes |
Cypress Music |
2007 |
FRA |
|
Non avrei mai pensato di rivedere i Pulsar con un nuovo album, anche se forse la loro reunion al Baja Prog Festival del 2002 aveva acceso più di una speranza: dopo la pubblicazione di "Görlitz" nel 1989 ne avevamo perso quasi del tutto le tracce e si pensava a quell'album come al loro epitaffio. Davvero un peccato che la carriera di una band, che ci ha regalato alcune delle perle in assoluto più preziose del prog francese, dovesse terminare con un album così incerto. Sono sicura che ogni appassionato porta nel cuore questo gruppo di Lione e la loro musica eterea, elegante, costellata di riferimenti colti all'elettronica, alla psichedelia e che allo stesso tempo non perde mai di vista il versante sinfonico del prog. Ecco quindi questo graditissimo ritorno con la medesima formazione di "Görlitz", che poi, a parte il bassista Louis Paralis, corrisponde al nucleo storico della band. Sicuramente è valsa la pena di comprare questo CD, elegante a partire dalla bella copertina accesa di rosso, sborsando una cifra al di sopra della media, anche se, come vedremo, questa nuova versione musicale dei Pulsar è divenuta molto essenziale e ripulita di tutti i bei riferimenti del passato. Un unico punto di riferimento è quello che rimane ben chiaro ed identificabile in questo nuovo album: i Pink Floyd. Questa non è certo una novità per i Pulsar che agli albori della loro carriera, nei primissimi anni Settanta, presentavano, sotto il nome di Free Sound, le cover del gruppo inglese. Ma se negli album storici dei francesi i Pink Floyd erano un elemento, ora diventano il fulcro attorno al quale ruota la loro musica ed in particolare della band inglese viene preso come riferimento il periodo "Dark Side of the Moon"/ Wish You Where Here". Bastano le prime note della traccia di apertura, "Memory Ashes Part I", a chiarire le coordinate musicali dei nuovi Pulsar: il vecchio flauto Genesisiano diviene qui un loop appena accennato, il pianoforte ci concede solo poche note diradate e le tastiere diventano un tappeto ampio e vaporoso di nebbiolina che si dilata lentamente e che il più delle volte dà la stessa impressione che si ha accostando una conchiglia all'orecchio: è qualcosa che lo riempie ed ovatta più che una melodia di fondo. La chitarra pulita sembra quella di Gilmour e la batteria, lenta e ben scandita, segue ritmi cadenzati e lenti, come il battito del cuore. La voce profonda e vellutata di Gilbert Gandil potrebbe essere quella di un cantautore francese. I suoni si sono fatti molto diradati, le canzoni sono monotone, scorrono in maniera leziosa e pochi ed eleganti elementi vengono di volta in volta snocciolati, come qualche nota di sax o un arpeggio di chitarra, che si stagliano sull'ambiente musicale quasi vuoto. Le prime quattro canzoni formano una suite divisa in quattro parti, in cui però i diversi movimenti si distinguono a malapena fra di loro e formano un unico blocco abbastanza compatto. Molto più bella e suggestiva "Monks", una lunga traccia di oltre 10 minuti che si apre con un canto gregoriano scandito dal rintocco cupo delle campane. La musica è sempre pulita e di matrice Floydiana ma le atmosfere in un certo senso esotiche che si respirano rendono questa composizione piuttosto interessante. Soprattutto la parte conclusiva con un flauto lontano, la chitarra arpeggiata, e gli archi di sottofondo dà un effetto altamente suggestivo teso fra il senso del mistero e della meditazione. Non possiamo lamentarci del risultato finale, anche se i livelli eccelsi di "Halloween" e "Pollen" non vengono neanche sfiorati: i Pulsar hanno dato una versione della loro musica plausibilmente proiettata nei nostri giorni, che oscilla morbidamente fra romanticismo e psichedelia, rinnovando la loro tavolozza sonora, proponendo un prodotto ben fatto, accuratamente rifinito e piacevolmente fruibile, evitando soluzioni ostiche e complesse ma non rinunciando per questo del tutto alla loro personalità. Si sono venduti con classe, qualcuno potrebbe dire, ma se questo è il loro modo di vendersi: ben venga.
|
Jessica Attene
Collegamenti
ad altre recensioni |
|