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I Mostly Autumn sono progressivamente usciti dallo status di gruppo di nicchia allargando in maniera consistente la loro solida cerchia di ascoltatori. Grazie a questo successo, che non li rende certamente una band mainstream ma che comunque è il segno di una certa popolarità per quel che riguarda la scena underground inglese, la band è riuscita ad aprire la propria etichetta discografica e, analogamente a quanto sperimentato in maniera efficace dai Marillion, si finanzia i nuovi album grazie alle prevendite su prenotazione. Il precedente album, "Heart Full of Sky", appariva per quel che mi riguarda decisamente fiacco e mostrava un impoverimento degli spartiti in favore di una vena compositiva improntata all'edulcorato pop delle radio più che all'elegante prog folk degli esordi. Nonostante questo "Heart Full of Sky" è, a detta del gruppo, l'album che meglio ha venduto della loro discografia. Ecco quindi che la band attraversa un momento davvero felice, se non in termini di creatività artistica, almeno in termini di notorietà, balzando all'apice delle vendite e anche dei gossip di cronaca rosa per la disdetta all'ultimo minuto del matrimonio fra la graziosa cantante Heather Findlay ed il veterano Fish. Ma veniamo a quello che maggiormente ci interessa al momento e cioè il nuovo album. Diciamo subito che il gruppo fa un mezzo passo indietro rispetto al già citato "Heart Full of Sky", recuperando in parte alcuni elementi del proprio passato musicale, senza per questo rinunciare alla propria svolta pop. Le nuove canzoni sono leggerine, semplici e abbastanza lineari e nello stesso tempo presentano qualche grazioso elemento folk ed acustico ma soprattutto brillano per la splendida performance vocale di Heather. E' grazie alla sua voce che alcuni pezzi di atmosfera risultano a loro modo affascinanti: è il caso di "Above The Blue", una ballad davvero semplice, sostenuta da poche linee di piano, ma sulle quali la voce di Heather si staglia leggera ed emozionante. Alla stessa maniera una semplice canzone acustica dai lineamenti folk, come "Flowers for guns", che si regge su un banale riff ritmato di chitarra, riesce ad entusiasmare l'ascoltatore grazie ad una voce carezzevole e ben modulata. Proprio questi episodi semplici ma eleganti sono per me il top di questo album. Sull'altro piatto della bilancia troviamo pezzi forse un po' troppo scontati, come la traccia di apertura, "Fireside", ripetitiva e improntata fondamentalmente al rock melodico più che al prog che ormai lambisce appena la musica di questa band. La struttura di questa canzone, assai monotona, è così scontata che riusciamo a prevedere con precisione dove verrà collocato l'assolo di chitarra e in che punto partirà il ritornello. Altre canzoni sembrano quasi fare il verso ai Porcupine Tree più scontati, come la successiva "The Second Hand", interpretata dalla voce opaca di Bryan Josh che, diversamente da Heather, non riesce ad elevare questa traccia dagli arrangiamenti poveri e dalle linee melodiche assai banali. Fra le altre tracce si lascia notare per il minutaggio di circa undici minuti la title track ma dobbiamo purtroppo constatare che una maggiore lunghezza non è indice di una migliore qualità. Anche in questo caso abbiamo una traccia profondamente influenzata dai Porcupine Tree più scontati che si sviluppa in un lento crescendo, partendo in maniera quasi sussurrata, sempre con Bryan Josh alla voce, batteria in 4/4, musica sfumata e tastiere appena percettibili in lontananza, e terminando in maniera appena più sostenuta ma di certo non più coinvolgente. La batteria va come un metronomo e l'organo, che potenzialmente potrebbe portare enfasi al pezzo, è soffocato e fa lo stesso effetto dei fulmini che si vedono lampeggiare appena all'orizzonte e di cui non si riesce ad udire neanche il fragore: non riescono a scuotere gli animi di nessuno e a malapena ne avvertiamo la presenza. Un album così non poteva trovare un finale più orrido di a "Different Sky", una canzoncina cantata in coro e costruita su tre accordi di chitarra, appiccicata lì, come a voler riempire per forza uno spazio lasciato vuoto. Tirando le somme possiamo dire che questo album è per lo meno migliore del precedente ma l'impressione che mi rimane al termine dell'ascolto non è delle più positive: se non fosse per il fascino e la verve di Heather Findlay lo potremmo addirittura buttare al secchio ma se questa politica è apprezzata dall'ampia schiera dei fan della band non biasimo certamente il gruppo per aver intrapreso questa strada votata al facile consumo, lasciando alle spalle album a quanto pare meno venduti ma sicuramente più significativi.
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