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MINIMUM VITAL Capitaines Musea 2009 FRA

Più o meno cinque anni ci separano dal precedente album dei Minimum Vital che con la loro carriera più che ventennale rappresentano dei veri e propri alfieri del prog contemporaneo transalpino. Sicuramente i Minimum Vital hanno saputo forgiare un proprio stile personale, riconoscibile e fantasioso, che si basa sulla mescolanza di elementi sinfonici, soft fusion, richiami alla musica antica e alle tradizioni popolari francesi ma anche di varie altre parti del mondo. E' un piacere ritrovare questo stile in questo album che già ad un primissimo ascolto appare interessante, soprattutto considerando che la band ha attraversato qualche cambiamento che ha portato in particolare alla defezione della voce solista di Jean-Baptiste Ferracci, che condivideva l'avventura con i Minimum Vital dal 1997, e della batteria di Didier Ottaviani. Poco importa, perché il nucleo storico è conservato e questo album ci porta forse più vicini alle radici della band di quanto non sia avvenuto con "Esprit d'Amor" e con "Atlas". Il precedente album aveva forse una stesura più lineare mentre qui si ritrovano una complessità maggiore e contenuti musicali più ricchi di idee. Mancano delle vere e proprie partiture vocali solistiche e si ricorre soprattutto alla soluzione dei cori, con il solito linguaggio inventato che è uno dei marchi di fabbrica della band. Il mood è come sempre gioioso e trionfante, alla faccia di chi pensa che per fare prog bisogni per forza essere seriosi o addirittura tragici. La novità di questo album in particolare è l'introduzione di alcuni elementi che ci riportano alla musica araba o mediorientale, come testimoniato dall'uso di strumenti come il saz, l'oud (o liuto arabo) o il darbouka, ma si tratta di piccole suggestioni calate nel consueto e familiare contesto musicale dei Minimum Vital. Non mancano i riferimenti alla tradizione dei trovatori, come nella canzone "Le Chant De Gauthier", ispirata alla musica del trovatore del XII secolo Gauthier de Coincy, con richiami resi più forti anche grazie al consueto uso di strumenti antichi come il cistro o il theorbo. Nonostante l'apparente leggerezza di queste canzoni si tratta di un album complesso, arrangiato in maniera splendida, con i suoi minuti intrecci fra i vari strumenti a corde, provenienti dalle tradizioni più diverse, e le tastiere rigogliose. Quindi il suggerimento è di non soffermarsi ad un primo ascolto ma di cercare di cogliere via via tutte le sfumature di cui questo album è pieno. Ci tengo a sottolinearlo perché al primo ascolto, pur apprezzando la musica qui contenuta, non sono riuscita a mettere immediatamente a fuoco il valore di queste composizioni. Si tratta di un disco di buona qualità e piacevole da ascoltarsi a più livelli, che colloco sicuramente più in alto rispetto ad "Atlas" che comunque avevo molto apprezzato.

 

Jessica Attene

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