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PIERPAOLO BIBBÒ |
Diapason |
La Strega |
1980 (Mellow 1994) |
ITA |
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Nel 1980 un musicista-autore sconosciuto pubblica per un’etichetta discografica sconosciuta ai più, La Strega, un album che passa inosservato, e che vedrà il giusto riconoscimento di critica quasi quindici anni più tardi grazie alla ristampa in cd realizzata dalla Mellow Records.
"Diapason", pur non destando all’epoca particolare interesse nel pubblico, è importante perché, insieme al suo “gemello” "Dopo il Buio la Luce" dei Salis, pubblicato a poca distanza di tempo, è uno dei pochi album sardi a potersi definire totalmente prog.
La copertina, titolo e autore su sfondo completamente blu, non attira e non fornisce alcuna indicazione sul contenuto del disco. Questo però è bello, originale e spontaneo nonostante l’ampio uso di effetti e strumenti elettronici, con un’aria naif e artigianale che pervade tutte le composizioni.
Si tratta sostanzialmente di un album basato sui sintetizzatori, i quali costituiscono l’ossatura di gran parte delle composizioni. Gli strumenti acustici, chitarra, flauto, violino e percussioni, sono sempre presenti e contribuiscono ad alleggerire l’atmosfera, e la voce e i testi rendono l’ascolto vario e piacevole. E’ avvertibile una certa ricerca nei suoni, Bibbò sembra sfruttare il più possibile le capacità degli strumenti che ha a disposizione, costruendo arrangiamenti ricchi e fantasiosi in tutti i brani, dando però nel contempo un’atmosfera molto omogenea al tutto. Le composizioni si sviluppano in gran parte entro i cinque minuti di durata, solo "…e dalle mie macerie…" e "La macchina del tempo" si dilatano maggiormente. L’iniziale "Cercando una terra fantastica" rappresenta un ottimo esempio di “canzone” prog, esemplificata alla perfezione anche su "Incantautore". Sintetizzatori e chitarre, elettriche e acustiche, effettate con wha-wha, echi e riverberi, accompagnano le linee vocali e i cori. "La macchina del tempo", col suo inizio lento e i suoni dilatati, fa venire alla mente addirittura una possibile influenza di musicisti come Klaus Schulze e Tangerine Dream del periodo più melodico, per poi accelerare verso il rock e le atmosfere rassicuranti del prog italiano dopo soli due minuti. Ritroviamo quindi i consueti cambi di tempo, gli arpeggi, i passaggi strumentali che tutti conoscono, ma filtrati con un gusto e un’immaginazione che non li fanno apparire scontati o datati.
In definitiva, Diapason può essere considerato come un disco che riprende in parte la lezione italiana degli anni settanta e la rielabora in maniera originale. Se all’epoca della sua pubblicazione il pubblico fosse stato più attento e meno distratto dai generi che avevano soppiantato il rock progressivo solo due anni prima, probabilmente avrebbe apprezzato il tentativo di Bibbò di “rinnovare” il genere, e Diapason avrebbe ricevuto i consensi che si meritava.
Diapason è anche il nome dello studio di registrazione di Pierpaolo Bibbò, il quale continua tutt’ora ad occuparsi di musica per passione e ad autodefinirsi nel suo sito internet come “incantautore”.
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Nicola Sulas
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