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BRIMSTONE SOLAR RADIATION BAND Smorgasbord Karisma Records 2009 NOR

Tipi simpatici questi cinque norvegesi, con il loro mondo immaginario indeciso tra suggestioni steampunk e follie psichedeliche, popolato di meduse volanti, mante canterine dalla bocca umana, vecchi grammofoni arrugginiti, balene variopinte, dirigibili, razzi, piovre giganti, pin-up spuntate fuori direttamente dagli anni quaranta, uomini dalla testa di leopardo e, talmente scontata da non sorprendere affatto, l’apparizione di un sottomarino il cui scafo, nel caso non ci siate ancora arrivati, è dipinto di un inconfondibile colore giallo.
Un’allegria apparentemente spensierata accompagna la musica dei Brimston Solar Radiation Band, i quali non sono certo dei novellini dato che si trovano al loro terzo lavoro discografico. Ascoltando “Smorgasbord”, non si può fare a meno di porsi alcune domande: è possibile nel 2009 realizzare un album di rock che guardi notevolmente al passato senza odorare di muffa, che suoni allegro senza essere banale, che ricicli vecchi schemi e arrangiamenti senza sembrare scontato, che non debba per forza essere innovativo e rischiare di essere astruso e noioso? La risposta, in questo caso, è SI'! I Brimstone non hanno prodotto un capolavoro, ne qualcosa di veramente nuovo, ma hanno saputo realizzare un album di rock gradevole da ascoltare, che ci fa ritrovare il piacere di ascoltare il suono delle chitarre elettriche, dell’organo Hammond e del Mellotron nella loro purezza, senza che gli strumenti siano soffocati da distorsioni ossessive e da valanghe di effetti.
Che i Brimstone siano dei burloni lo si capisce qualche secondo dopo aver inserito il dischetto nel lettore; pochi accordi di organo e mellotron che sembrano presi direttamente da “Watcher of the Skies” dei Genesis introducono “Medic”, il quale si trasforma subito in un brano dominato dalle chitarre in overdrive, col sottofondo ruggente di un Hammond ed una sezione ritmica fantasiosa a fare da traino. La successiva “Godspeed Mother Earth” è invece una ballata acustica dal sapore floreale che ricorda i Pink Floyd da “lato B” (quelli di “Atom Earth Mother” e “Meddle”), mentre “Happy” continua in parte sullo stesso piano, inserendo però notevoli reminescenze beatlesiane (ed è scontato che il sound del quartetto di Liverpool aleggi costantemente nell’aria durante tutto il disco, specialmente negli impasti vocali). In “I Don’t Mind” le referenze si spostano, andando ad abbracciare nientemeno che gli Who, con un Thomas Grønner alla batteria che non ci lascia dubbi sul fatto che il suo drumming indiavolato si ispira proprio a Keith Moon. E’ invece con “Sanctimonius High” che i Brimstone giocano la carta vincente, confezionando un brano trascinante e di facile ascolto accompagnato da un video veramente ben realizzato, su cui è stato fatto probabilmente un certo investimento economico, nel quale troviamo i personaggi del folle immaginario della band (popolanti anche il loro sito internet) mescolarsi ai musicisti che suonano tra le nuvole e gli arcobaleni, in un mondo a metà tra il cartone animato psichedelico e la grafica computerizzata. Il brano è diretto e accessibile, e potrebbe spazzare via facilmente la maggior parte del pseudo-rock e dei video comunemente in rotazione su MTV.
L’apparente leggerezza delle canzoni non deve trarre in inganno; i cinque norvegesi sono molto abili nell’evitare la noia, inserendo break acustici, condendo il tutto con inserti di sassofoni suadenti, arrangiamenti d’archi (in “Strings to the Bow”, dove compare anche una parte leggermente jazzata, e in “A Hill of Beans”), qualche chitarra slide in stile southern (nel brano “Thin Air”), una sezione ritmica varia e fantasiosa e le onnipresenti armonie vocali guidate dalla bella voce di R. Edwards. In definitiva, Smorgasbord (termine che indica un tipico buffet scandinavo di piatti freddi e caldi) è un disco meritevole, un’ottima sintesi di rock e psichedelia conditi con un pizzico di prog, che pesca a piene mani dagli anni sessanta e settanta e che vanta, ma non copia, riferimenti di lusso per creare una musica sufficientemente personale da non sembrare assolutamente scontata.
Il consiglio finale è che non dovete lasciarvi sfuggire questo disco, non vi deluderà.


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Nicola Sulas

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