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SIDEWAYTOWN |
Years in the wall |
Viva Hate Records |
2007 |
GER |
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Sidewaytown è il nuovo nome dietro cui si cela ora il tedesco Markus Baltes, attivo sulle scene musicali da una quindicina di anni con diversi progetti, tra cui spiccano i Paragon of Beauty e gli Autumnblaze, che hanno animato qualche tempo fa la scena gothic in alcuni suoi lidi raffinati. Terminata l’esperienza Autumnblaze, Baltes nel 2006 comincia a elaborare il suo futuro decidendo di puntare su questa nuova denominazione. Rimasto affascinato dalla proposta dei Sigur Ros, soprattutto in ambito live, con quelle atmosfere eteree di cui sono maestri, comincia sempre più a pensare che la sua nuova avventura debba indirizzarsi verso sentieri molto vicini al post-rock. E se qualcuno avesse dubbi al riguardo basterebbe leggere sulla copertina del primo cd di questa esperienza, “Yeas in the wall”, dove sotto il nome Sideways possiamo leggere “A skygazing post-rock symphony”. Baltes sembra avere quindi le idee ben chiare e vuole che tutto sia evidente per chi si avvicina a questo lavoro. All’inizio siamo immediatamente catapultati in un sound che può ricordare gli Slint, tra i capostipiti di quel post-rock un po’ cosmico e un po’ crimsoniano e che non manca di una certa orecchiabilità. Si susseguono una serie di brani che hanno queste caratteristiche, con ritmi compassati, la chitarra che riesce a mostrare una certa complessità, ma che allo stesso tempo sa dare quel tocco elegante e malinconico. Non mancano episodi nettamente vicini a quanto proposto dai citati Sigur Ros, come “Put your sun in the corner” e “Outpatient: voice”, misurati, con quegli sbalzi caratteristici e ormai noti in cui si passa da un sound indolente ed elegiaco ad esplosioni strumentali avvincenti, anche se Baltes non estremizza mai queste soluzioni. In altri frangenti, vedi “Beautiful accident”, sembra di ascoltare uno space-rock figlio dei primi Porcupine Tree, in cui il sound avvolgente è ben completato da belle melodie vocali ed ha anche un accelerazione finale coinvolgente. Si avverte la grande professionalità con cui tutto è proposto, dalle scelte musicali che sono alla base, al lavoro di produzione che permette di perfezionare ulteriormente sonorità uggiose ben marcate dal primo all’ultimo minuto, dando un senso di compattezza notevole. Il disco, presentando tutti i canoni tipici del genere, non brilla certo per originalità (e forse Baltes non raggiunge quello scopo che si era prefissato di partire da certe sonorità per poi creare qualcosa di nuovo e personale), ma nel complesso bisogna ammettere che risulta godibilissimo ed una chance gliela si può tranquillamente concedere.
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Peppe Di Spirito
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