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THE SOURCE |
Prickly pear |
Cyclops |
2009 |
USA |
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A distanza di un paio di anni torna con un album nuovo di zecca questo interessante quartetto di Los Angeles. Il loro debutto ci aveva presentato una band degna di attenzione ma che non riusciva tuttavia ad emergere dalla media. Questa nuova fatica discografica, pur apparendo più matura e meglio congegnata del precedente album, non rappresenta tuttavia, a mio giudizio, la prova della consacrazione. Possiamo apprezzare un prog sinfonico di discreta fattura, molto godibile all'ascolto, con bei suoni tastieristici e molto Yes oriented, molto melodico e dall'impatto abbastanza teatrale. La durata complessiva è contenuta, raggiungendo i 48 minuti, e questo depone a favore della fruibilità di un disco che alla lunga avrebbe forse rischiato di stancare un po'. Il pezzo di apertura "Promised Land" è addirittura convincente: presenta una certa movimentazione ritmica, una scrittura varia e vivace e caldi suoni vintage. Vi sono poi graziosi intrecci di piano e chitarra acustica, fraseggi molto melodici di chitarra elettrica e belle parti di basso. L'impatto del sound è nel complesso fresco e ruvido e fa somigliare questo album ad una produzione genuina dell'underground americano, collocata più o meno a cavallo degli anni Settanta. Questo spirito, unito alla verve della band, rende l'ascolto di quest'opera potenzialmente appetibile per appassionati dei suoni sinfonici d'annata ed in questo senso mi possono venire in mente per certi aspetti i Fireballet o gli Albatross. Una nota di merito va espressa anche verso la voce di Aaron Goldich, cantante non dotatissimo ma dalla timbrica limpida e quasi efebica che si adatta splendidamente allo stile del gruppo. Ma qualcosa si viene a deteriorare un po' con l'andare dei pezzi che via via perdono di scorrevolezza, soprattutto per quel che riguarda quelli di lunga durata: gli undici minuti di "Until Morning Time", che pure presentano al loro interno diversi slanci artistici che li vivacizzano, appaiono un po' confusionari, ed il pezzo di chiusura, "Castles In The Sky", risulta a tratti poco fluido. Insomma, concludendo mi sarei aspettata un po' di più da questa band che lascia intravedere buone potenzialità, unite ad uno stile molto affabile, che però non portano ad un risultato davvero appagante per le mie attese. Non vorrei comunque aver penalizzato troppo con la severità del mio giudizio questo CD: anche se non si tratta di un grande album di prog sinfonico è sicuramente un disco gradevole che merita di essere preso in considerazione, magari non come primissima scelta ma come grazioso complemento di ascolto.
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Jessica Attene
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