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RICHARD BONE |
Indium |
Electroshock Records |
2003 |
USA |
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Avete mai visitato un lago di notte? L’acqua plumbea, che sembra petrolio, sembra quasi respirare e fagocitare nel silenzio profondo tutto quello che c’è attorno. L’unico suono è quello impercettibile della vita attorno, di animali notturni che lasciano solo presagire la loro presenza; di quando in quando si avverte un brulicare di foglie che stormiscono alle carezze del vento e le uniche luci sono quelle delle stelle che splendono infinite e lontane da noi. La sensazione è quella di una strana quiete che si accompagna al timore di violare e di immergerci in un mondo che non ci appartiene ma che dentro di noi sogniamo. Si prova uno strano sentimento di attesa, una sensazione indefinita che qualcosa, da un momento all’altro possa giungere ad interrompere questa specie di incantesimo. Ecco come appaiono le visioni elettroniche ed ambientali di Richard Bone, così romantiche e così inquietanti allo stesso tempo. Richard Bone è considerato uno dei fondatori della scena di musica elettronica di New York. Iniziò a comporre nel 1979 e da allora ha pubblicato una trentina di opere, esplorando vari campi dell’elettronica, dall’underground pop e la new wave, negli anni Ottanta, per poi appassionarsi alle creazioni di Brian Eno e Harold Budd ed approdare infine all’universo della musica ambient alla quale questo disco è votato. “Indium” contiene materiale composto in occasione del primo festival internazionale di musica elettronica di San Pietroburgo e contiene, come abbiamo anticipato, una collezione di visioni ambient, 8 tracce in tutto, per un’ora circa di musica. I paesaggi sonori disegnati sono esili come una tela di ragno e scintillanti come le gocce di rugiada che vi si posano al mattino, che ne esaltano e ne impreziosiscono il disegno, geometricamente perfetto. La trama della ragnatela sonora si immerge in un’atmosfera di suoni ovattata in cui riverberano le delicate note di un piano, suonato in punta di dita. I suoni elettronici, che formano l’atmosfera dei pezzi, si intrecciano a quelli acustici e netti del piano e questa matrice indefinita si mescola con i suoni gentili dell’ambiente. L’insieme sonoro delle varie composizioni evoca impasti di sensazioni primordiali, indefinite ma sempre piacevoli e delicate che lavorano nel nostro inconscio come lo possono fare profumi e impercettibili sensazioni tattili sui nostri sogni che fanno materializzare nel nostro inconscio colori, luci ed emozioni molto vaghi ma che comunque sono in grado di lasciarci al risveglio la percezione di un’esperienza gradevole. Ecco, possiamo quasi dire che questa è una musica per l’anima più che per le orecchie. Non è qualcosa da analizzare ma qualcosa in cui immergere i nostri pensieri dimenticando tutto quello che possa esserci di turbamento.
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Jessica Attene
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