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D'ACCORD |
D'accord |
autoprod. |
2009 |
NOR |
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Variazioni sul tema di “Watcher of the Skies”, ecco come potrei ribattezzare la traccia di apertura di questo esordio discografico, il cui titolo sarebbe nella realtà “Play By The Hall Rules”. I riferimenti sono così tangibili che in certi momenti si potrebbe persino parlare di plagio. La band si è preoccupata di ottenere un sound vintage il più vicino possibile a quello degli anni Settanta e bisogna dire che ci è riuscita benissimo ma il problema è che, legandosi troppo ai modelli dei grandi del passato, soprattutto ai Genesis (ascoltate per esempio il tema musicale utilizzato a partire dal settimo minuto della traccia in esame e ditemi se non vi sembra un po’ troppo sfacciato), non è riuscita a costruirsi una propria identità artistica. A dispetto di queste critiche dobbiamo però ammettere che il loro album è realizzato davvero bene e potrebbe rivelarsi addirittura un acquisto appetibile per chi ha voglia di un sano revival senza troppe pretese. I Genesis, lo abbiamo detto, sono stati abbondantemente saccheggiati, e persino la voce di Daniel Maage (che suona anche il flauto), decisa e potente, è impostata a immagine e somiglianza su quella di Peter Gabriel, ma troviamo anche riferimenti sparsi a Pink Floyd, Jethro Tull e agli Yes, in misura variabile. Il sound è molto pieno e tastieristico con Mellotron, Moog, Rhodes e Hammond che costruiscono arrangiamenti ricchi e d’effetto. Non mancano poi bei momenti chitarristici, con splendidi assoli snocciolati nei momenti più opportuni. I pezzi proposti, 5 per un totale di 45 minuti di durata, sono tutti belli ma il migliore è forse quello di chiusura, “Capitale Venditio”, che è anche il più lungo del lotto, con i suoi 13 minuti. Troviamo qui una performance di Daniel Maage molto teatrale e le sue doti di trascinatore e di leader sono messe in piena evidenza. Il brano, molto Genesis oriented, con una parte conclusiva decisamente Floydiana, con tanto di chitarra alla Gilmour, trasmette molto pathos e si presenta inoltre proporzionato, con un giusto equilibrio fra parti strumentali e cantate ed arrangiamenti decisamente ben congegnati. A ulteriore garanzia della bontà del prodotto, almeno da un punto di vista sonoro, troviamo che l’opera di masterizzazione è stata curata da Andy Jackson, il celebre ingegnere del suono dei Pink Floyd. Nonostante le perplessità legate alla mancanza di originalità, bisogna però ammettere che si tratta di un’opera riuscita, curata e che sicuramente rappresenta un ottimo punto di partenza per questa band dotata, che ha tantissimo altro potenziale da sfruttare.
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Jessica Attene
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