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DOUBT |
Never pet a burning dog |
Moonjune Records |
2010 |
UK/USA/BEL |
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“Mai carezzare un cane che brucia”. Non ci sogneremmo mai di fare una cosa del genere, né speriamo di averne l’occasione. Potremmo però coccolare questo dischetto e accarezzarlo con gentilezza, stando attenti a non lasciare per troppo tempo le dita sulla sua superficie lucida se non vogliamo scottarci. Si perchè questo cd brucia, o meglio brucia la musica contenuta al suo interno.
I douBt vengono dall’Inghilterra, ma due dei componenti sono nati, rispettivamente, in Belgio e a New York. Il loro album d’esordio è stato invece registrato negli studi Electromantic di Beppe Crovella, e il legame con l’Italia è evidente anche nei titoli di un paio dei brani presenti nel cd. Un esordio dunque, ma leggendo la biografia dei tre componenti ci rendiamo subito conto di non trovarci davanti ai dei novellini. Alex Maguire, Michel Delville e Tony Bianco possono sfoggiare curriculum di tutto rispetto. Il primo ha suonato le tastiere con tanti nomi storici del jazz e del prog inglese, tra i quali Richard Sinclair, Elton Dean, Pip Pyle ed Evan Parker, e ha fatto parte della reunion del 2005 degli Hatfield & the North. L’aver studiato con John Cage, inoltre, lo ha portato a muoversi sovente in territori ancora più sperimentali. Le esperienze degli altri due musicisti, rispettivamente alla chitarra elettrica/chitarra synth e alla batteria, testimoniano una personalità musicale eclettica e con pochi limiti, fatta di incursioni nei confini tra jazz tradizionale e rock, sino ad arrivare alle contaminazioni col punk, sempre mantenendo un’attitudine free ben marcata. Questa è evidente anche in “Never pet a burning dog”, album dal titolo bizzarro e dallo svolgimento frenetico.
La musica è un riuscito jazz-rock progressivo basato molto sull’improvvisazione, con una struttura di fondo, più o meno pianificata, a fare da filo conduttore. Notevole la presenza di Richard Sinclair come ospite nell’iniziale “Corale di San Luca”, con i suoi ben noti vocalizzi che fanno salire splendidi brividi canterbouryani lungo la spina dorsale. Il brano è breve, e ci introduce alla successiva “Laughter, nella quale i tre musicisti si lanciano in un’anarchica cavalcata free dominata da suoni distorti e allucinati di tastiere e chitarre, con la batteria che cerca di ritagliarsi, in un frenetico crescendo, uno spazio solista al pari degli altri strumenti. “Over Birkerot” è una cover di un brano di Terje Ripdal, qui riproposta in un lungo arrangiamento acido della chitarra di Michel Delville. La successiva “Sea” è un brano d’atmosfera, con una base di suoni rarefatti sulla quale scale e improvvisazioni di piano elettrico irrompono in maniera casuale e si sovrappongono all’onnipresente batteria, che cerca di liberarsi con ansia da qualunque scansione temporale riconoscibile. Di nuovo Richard Sinclair protagonista in “Passing Cloud”, l’unica “canzone” del disco, con un andamento più regolare che costituisce una piacevole pausa malinconica nel ribollire sonoro generale. “Cosmic Surgery”, anch’essa con una struttura basata più sulla scrittura che sull’improvvisazione, stupisce per un sound che ricorda i Van der Graaf Generator, tanto che sembra quasi di aspettarsi l’irrompere della voce di Peter Hammil da un momento all’altro nei sette minuti scarsi del pezzo. Si ritorna nell’improvvisazione in “Aeon”, con la solita batteria frenetica ma dal suono allo stesso tempo etereo e senza confini, quasi sospeso nell’aria tra chitarre e tastiere, per chiudere con un titolo che omaggia Beppe Crovella, “Beppe’s Shelter”, anch’esso basato principalmente sull’improvvisazione.
“Never pet a burning dog” è un disco notevole, improntato su un free-jazz stemperato da forti elementi canterbouryani, a volte caotico, a volte rilassato, con i tre musicisti che cercano continuamente di ritagliarsi il proprio spazio solista. In certe parti, tutto ciò potrà sembrare indigesto per coloro che non sono avvezzi a tanto marasma sonoro. Il trucco per superare questi momenti e goderne appieno è quello di lasciarsi andare, di non cercare di trovare un senso nelle lunghe e infuocate divagazioni strumentali, ma di lasciarsi sommergere abbandonandosi completamente ad esse.
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Nicola Sulas
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