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ALEXANDER VOLODIN |
Unfinished journey |
Electroshock Records |
2010 |
RUS |
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Alexander Volodin è un compositore russo di musica elettroacustica giunto alla sua seconda pubblicazione per l’etichetta Electroshock Records, dopo un esordio “Reflections Of Time” del 2004 che aveva saputo positivamente attirare l’attenzione della critica specializzata. Come per diversi altri musicisti della Electroshock, la musica di Volodin parte da un concetto di musica d’avanguardia contemporanea di base per esplorare ed eventualmente teorizzare nuovi confini sonori, spaziando dai territori più accademici (Stockhausen e Boulez) all’elettronica più ambientale, con un impianto sonoro ed immaginativo “cinematografico” che è spesso caratteristica tipica delle uscite Electro Shock. “Unfinished Journey” è costituito da tre composizioni, la notevole “There, House Stood” di oltre quaranta minuti, una “Different Things” di venti minuti suddivisa in tre parti e la più breve “Silver Thread” di soli dieci minuti. Il tono generale dell’opera è piuttosto criptico ed enigmatico, anche se non mancano del tutto gli spunti melodici, assai rari, come accade in “Different Things” dove in mezzo a pulsazioni e droni elettronici (“The Faucet”, appunto, simulazione concettuale di un rubinetto), effetti notturni e musica concreta si intromettono timidamente degli attimi melodici per essere subito distorti e annicchiliti dall’elettronica e dalle percussioni, specialmente nella seconda parte del pezzo, “Drums & Domra”; nella terza parte “Saxophonia”, entra prevedibilmente in scena il sassofono suonato in modalità free da Alexander Sveridoff e rielaborato elettronicamente da Volodin, con effetti piuttosto urticanti e disturbanti fino a sfiorare il rumorismo pure, componente post-industriale che del resto è percepibile in buona parte del disco. “Silver Thread” oltre che essere la composizione più breve del disco è anche forse quella meno interessante, anche se caratterizzata da un intervento vocale piuttosto impressionante di Serge Kradinoff, sostanzialmente urla, grugniti e lamenti, dilatati ed amplificati allo stremo da Volodin, con l’accompagnamento improvvisato e cacofonico del violino di Albina Batirshina e della chitarra elettrica di Alexander Sveridoff. Arriviamo così verso l’opera principale, la colossale “There, House Stood”, quasi un’ipotetica colonna sonora per un film immaginario tanto è ben congegnata concettualmente la struttura musicale con frequenti ed evocativi interventi campionati e field recordings: in questa lunghissima composizione l’elettronica incomincia ad assumere dei contorni più definiti e “melodici”, dunque ci sono dei riferimenti ad Edward Artemiev abbastanza evidenti, riferimenti che si concentrano in particolare nell’introduzione e nell’epilogo, certe atmosfere ricordano anche in una certa misura le esplorazioni ambient di Yney, come pure le costruzioni freeform di Alexei Borisov; le registrazione di ambienti e dialoghi in lingua madre purtroppo non aiutano la comprensione del concept dell’opera, però è sufficientemente evocativa e coinvolgente, a dire il vero a tratti assai inquietante, per tenere ferma l’attenzione... La cura per i dettagli sonori anche più microscopici è notevole, un ascolto in cuffia è quindi l’ideale per cogliere al meglio il senso di quest’opera a tratti geniale seppure, ovviamente, di fruizione piuttosto difficile.
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Giovanni Carta
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