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ERDEM HELVACIOĞLU / PER BOYSEN Sub city 2064 Biem 2010 TUR / SVE

Questo CD è il risultato di una lunga collaborazione gestita da una coppia di brillanti musicisti che hanno creato con il tempo un proprio stile definito basato sulla ricerca e sperimentazione musicale: Per Boysen, multistrumentista jazz svedese ed il chitarrista turco Erdem Helvacıoğlu. In effetti Erdem Helvacıoğlu non è un nome nuovo sulle pagine di Arlequins, infatti già in passato ho avuto modo di parlare del suo ottimo disco solista “Altered Realities”, uscito nel 2006, disco strumentale dalle soffici trame elettroniche, in cui la chitarra elettrica raggiungeva un’intensità espressività vicina alle migliori cose di Pat Metheny e Steve Tibbets. “ Sub City 2064” è però qualcosa di assai particolare, in quanto la chitarra di Erdem interagisce con i fiati di Boysem, fiati quasi del tutto filtrati dall’elettronica, quindi questa volta ci avviciamo concettualmente a Robert Fripp e al David Torn più sperimentale e visionario. La trama che ispira il titolo del cd è l’ideale impalcatura per la musica, ovvero uno scenario post-apocalittico futuro, abbastanza familiare per i cultori del genere, in cui l’uomo è costretto a vivere e sopravvivere in enormi città sotterranee (e aggiungo sottomarine!) per sfuggire ai devastanti effetti delle radiazioni. Quindi un concept fantascientifico e dai tratti anche orrorifici che rispecchia la scrittura di composizioni dalle tonalità scure e claustrofobiche, anche se decisamente dinamiche e complesse, ricche di raffinate sfumature strumentali. L’apertura del disco, “Radiation Patrol” rappresenta il momento forse più ostico del cd, con più di qualche riferimento all’electro-kraut dei primi anni settanta (penso ai primi Cluster ), ovvero circa sette minuti di improvvisazioni minimali e noise per chitarra e flauto... un flauto che “trattato” dalle mani di Boysem sembra più simile all’appendice sonoro di qualche strano congegno meccanico. L’aspetto più interessante di “Sub City 2064” sta proprio nella ricerca dei suoni più inaspettati ed imprevedibili, come nei loops ipnotici ed inquietanti di “Metal Sky”, abbondano le connessioni alla musica seriale e minimale, e gli assoli, essenziali ma estremantente efficaci, della chitarra elettrica... I brani tendono a “normalizzarsi” quando l’elettronica rimane più sullo sfondo e l’estetica sonora tende ad umanizzarsi, anche se gli interventi del sax tenore e delle slide guitar servono specialmente a sottolineare un’atmosfera sempre più cupa ed opprimente; Helvacıoğlu non si perde poi l’occasione di indurire e di appesantire il suono della sua chitarra fino ad avvicinarsi con prudenza al metal più moderno, oppure all’estremo opposto scioglie ogni schema per esplorare territori avant-jazz cacofonici, oppure ancora per lambire l’ambient music più melodica ed ariosa. Non mancano strani esotismi assortiti, specialmente verso l’ultima parte del disco dove la cupezza generale sembra stemperarsi un pochino, con una presenza ritmica più importante e definita ed atmosfere più rilassate e sognanti, non troppo distanti dal migliore Michael Brook. Direi quindi che una volta tanto vale davvero la pena di spendere quei pochi euro richiesti per l’acquisto di questo bel CD!


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Giovanni Carta

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