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KEBNEKAJSE |
Idioten |
Subliminal Sounds |
2011 |
SVE |
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Dopo la rinascita avvenuta nel 2001, grazie all’apporto di gran parte dei vecchi membri, questa storica formazione svedese non ha più smesso di suonare dal vivo proponendo, come se il tempo non fosse trascorso affatto, ciò che meglio le viene e cioè un mix di musica tradizionale del proprio paese, prog rock e psichedelia. Questo ritorno ha anche portato alla pubblicazione di un nuovo album in studio nel 2009 che oggi trova un seguito, per la medesima etichetta discografica, grazie a questo “Idioten”. Per trovare le radici della musica qui proposta bisogna tornare negli anni Settanta, e più precisamente nel 1973, quando il trio di musicisti fuoriuscito dai Mecki Mark Men, e che aveva già pubblicato un album nel 1971 a nome Kebnekaise, si unì agli Homo Sapiens per formare un unico grande complesso. Da qui prende infatti forma quel sound forgiato sui classici motivi della tradizione svedese, diluito in una fumosa polvere psichedelica che ritroviamo intatto in questo album nuovo di zecca. L’idea della band, capitanata oggi come allora dal leader storico, il chitarrista Kenny Håkansson, è quella di partire da quelle canzoni popolari svedesi che possano lasciare spazio alla rielaborazione personale e all’improvvisazione, trasformandole attraverso i riflessi ed i colori della psichedelia in qualcosa di nuovo, nel pieno spirito degli anni Settanta. I ritmi cadenzati e ripetitivi delle danze nordiche si rivelano un ottimo punto di partenza per costruire loop ipnotici ed elettrificati, come avviene per la briosa polska “From-Olle”, con il violino di Mats Glenngård che si agita come il vento in tempesta sul morbido ritmo delle percussioni di Hassan Bah. La mescolanza di ritmi tribali e folk nordico è sempre stata un elemento caratteristico della musica di questa band e ancora oggi lo ritroviamo con piacere in un pezzo come “Fäbodpsalm”, languido e malinconico, che scorre pigro al ritmo dei tamburi rievocando bellissime immagini del passato. Accanto al repertorio tradizionale ci viene proposto anche qualche pezzo nuovo, come “Barfota” o “Stockolmpolska”, entrambi scritti da Håkansson, due tracce oscure permeate da umori tetri e fumosi, oppure come “Senegal Beat” che incarna chiaramente quello spirito africano di cui si parlava, firmato dalla band al completo. Mi piace infine citare “Tax Free”, la cover di quel famoso pezzo di Hansson & Karlsson finito anche nel repertorio di Hendrix di cui anche i Kebnekajse forniscono una propria personale interpretazione. Avete ragione a pensare che questo sia un disco retrò condito di umori nostalgici, e in effetti la somiglianza con il vecchio repertorio è lampante ma questi musicisti provengono direttamente da quei tempi e tentare di farli rivivere in qualche modo non è affatto un’operazione semplice o da sottovalutare. Sicuramente i fan del gruppo apprezzeranno questa nuova prova che contiene canzoni molto belle, accanto ad altre meno brillanti e forse troppo lineari, e da amante dei Kebnekajse posso testimoniare di aver apprezzato, con i suoi pregi e con i suoi difetti, la nuova creatura di un gruppo che ha le sue radici ben affondate nel passato ma che ancora oggi riesce a portare a maturazione frutti succosi.
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Jessica Attene
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