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REPSEL |
The double mask of human kind |
Nomadism Records |
2011 |
ITA |
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Se una decina di anni fa al casello autostradale delle uscite musicali c’era l’ingorgo creato da gruppi appartenenti al prog metal, negli ultimi tempi cambiando (di poco) la proposta, la situazione rimane comunque invariata. Basta farsi un giretto nel web e vedere quanti siti legati al gothic metal nascono ogni giorno. Oramai il connubio chitarre pesanti-belle ragazze alla voce, è abbastanza inflazionato ed è difficile far risaltare chi ha qualche qualità, in mezzo a un calderone ribollente di distorsori e merletti. I Repsel qualcosa da dire ce l’hanno, perché in questo secondo album riescono a introdurre elementi abbastanza originali rispetto alle altre band che propongono circa gli stessi schemi musicali. La band di Viterbo, partendo da un background vicino all’epic metal e alla NWOBHM, cambiando formazione nel corso del tempo, è arrivata a produrre una miscela sonora che unisce elementi decisamente prog metal ad altri che rimandano al gothic, senza però dimenticarsi elementi che possiamo accostare al mondo prog. Pur nella bontà e nell’onestà intellettuale della proposta contenuta in questo cd, dobbiamo dire chiaramente che, anche se stiamo parlando di un concept incentrato sulla seconda guerra mondiale, sulla carta allettante per l’appassionato di rock progressivo, la parte musicale potrebbe risultare deludente per chi è abituato a navigare tra gli standard musicali di questo genere. Nonostante questa premessa, il lavoro non è brutto, riuscendo in determinati episodi nell’impresa di azzeccare molte soluzioni musicali. I punti forti di questo lavoro possiamo trovarli nel violino e nella voce di Marta Iacoponi che caratterizzano la maggior parte dei brani e nell’ottimo lavoro chitarristico di Giorgio Napoleone. Molto belli anche i testi del concept scritti da Marta. Tra i pezzi migliori ricordiamo sicuramente “The doubt” con un violino che lascia il posto a buone soluzioni chitarristiche e “The Constant Fear Of Losing You”, brano molto mediterraneo che potrebbe essere una buona base per ripartire con idee musicali più originali in un futuro della formazione. Ci sono molti punti sui quali lavorare, ma tutto sommato i cinquanta minuti di questo “ the double mask of human kind” possono essere considerati ampiamente sufficienti. Il genere scelto per cimentarsi è quello che è, comunque...
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Antonio Piacentini
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