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OXCART |
Beekeeper constellation |
autoprod. |
2011 |
USA |
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“Beekeeper constellation” è un concept album che parla di un allevatore di api ossessionato dai fantasmi di una guerra a cui ha partecipato. Tutto ciò lo porta ad isolarsi dal mondo esterno, concentrando ogni sua attenzione sulle sue api, in compagnia di fantasie intergalattiche che lo vedono protagonista di avventure tra le stelle. Gli autori di “Beekeeper constellation” sono gli Oxcart, una band di Portland che propone un progressive molto "cool", di stampo chitarristico, con chiari spunti AOR, Glam e Stoner. Forte è anche l'influenza dei Faith No More. Un vero e proprio minestrone riempito dalle influenze più disparate nel vano tentativo di trovare un'originalità che non c'è e di mascherare una mancanza di identità forte. Ad esempio è palese il tentativo, da parte del chitarrista Jason Baker, di voler emulare David Gilmour, per altro riuscendoci anche piuttosto bene. Le tastiere poi sono prevalentemente usate per creare tappeti sonori. Arriviamo alla voce: pur avendo discrete capacità vocali, il cantante eccede nel gigioneggiare, sussurrando ed enfatizzando troppo lasciando trasparire lo sforzo del tentativo di risultare naturale. Forse è soprattutto quando punta in alto cercando di imitare sia Patton che Yorke e Mercury, sebbene sia dotato di una buona estensione, che manca di quella sfacciataggine per risultare credibile come i suoi esimi colleghi. Le citazioni sono davvero al limite del plagio, come in “National Anthem” e “Possum” dove la presenza dei Pink Floyd è davvero troppo ingombrante. La marcetta di “Drawbridge” ricorda i Genesis e Ayreon, “Delusion” va nei territori prog metal dei Dream Theater più sbiaditi. “The Light” potrebbe essere uscita da Mellon Collie degli Smashing Pumpkins. “Zenith” vira verso i Queen più hard rock. La già citata “Possum” si trova in bilico tra i Faith No More e i Pink Floyd di “Echoes”. FNM che possiamo trovare anche nella ballata che chiude l'album, “Speakeasy”. In “The Beekeeper Constellation” troviamo invece i Muse. E alla fine, Pink Floyd a parte, mi rimane un sapore forte di anni ‘90. Tutto ciò porta a ricordare i brani più per le assonanze con altre band che per meriti propri. Con tutti i suoi limiti “Beekeeper Constellation” mantiene sempre un livello più che dignitoso. I 5 ragazzi sanno suonare bene e il prodotto è ben confezionato, pulito e luccicante. Il disco, malgrado la voce non sia riuscita ad entusiasmarmi mai, si lascia sentire con piacere ed è anche abbastanza variegato. In effetti ascoltando più e più volte il disco si riescono a cogliere diverse sfaccettature che vanno oltre la ricerca di assonanze e plagi già citata. Ad ogni modo, sebbene io sia un grandissimo estimatore di molte delle band referenziate dalla loro musica, non ho trovato spunti che siano riusciti ad emozionarmi a fondo e, purtroppo, una sensazione di incompiuta freddezza continua a rimanermi dentro.
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Francesco Inglima
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