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BLUE MAMMOTH |
Blue mammoth |
Masquerade Records |
2011 |
BRA |
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Play… e siamo subito investiti e sballottati in un vortice sinfonico intenso e coinvolgente con la prima delle quattro parti che compongono la suite omonima dei Blue Mammoth esordiente gruppo brasiliano. Appaiono subito chiare le band di riferimento dei nostri: Uriah heep, Deep Purple,Yes, EL&P , Styx …
3 lunghe suite (divise in varie parti) e 4 brani più brevi, ma ricchi di energia per un album potenzialmente “commerciale” ed ammiccante che potrebbe piacere non solo all’hard-rocker , ma anche ai “puristi” palati fini del progressive tout-court. Le tre long tracks rappresentano certamente i brani di maggiore impatto e di maggiore complessità e quelli dove la vena creativa delle band appare al suo meglio.
All’accentuato sinfonismo della prima parte di “Blue Mammoth” (“Overture-The awakening of the giant), subentra l’hard rock alla Uriah Heep ultima maniera della seconda sezione ( “The king of power”), la terza invece “Winter winds” è una ballad che introduce il gran finale “Coda-back again” dominato dalle più che eloquenti tastiere. “Rain of changes” (quasi 17 minuti divisi in tre sotto tracce) fa anch’essa delle gradevoli melodie e dei prepotenti assoli chitarre/tastiere le proprie caratteristiche essenziali.
Sicuramente niente di memorabile e niente di innovativo (se ancora possono esserci delle novità…), ma quello che sanno fare i 4 ragazzi brasiliani lo fanno molto bene. La band non sa solo mostrare i muscoli però. Il sapiente uso del piano e dell’organo da parte di Andre Micheli (anche vocalist della band) e le notevoli capacità melodiche della chitarra dell’altro Andre (Lupac) fanno affiorare le raffinatezze musicali dell’album. E, quando, come in “”The sun’s face through dark clouds” (terza parte di “Rain of changes) il sound si avvicina pericolosamente a quello degli Asia, non mancano gli spunti stimolanti (l’intro “a cappella” ad esempio). Anche “Quixote’s dream” si muove con dinamiche simili ai pezzi precedenti, con l’eccezione della sezione finale “Solitude- The sad end of a dreamer” , un breve ma intenso momento quasi cameristico. Più di maniera le 4 tracce più brevi: le power ballad “Resurrection day” e “The same old sad tale”, “Infinite strangers” (reduce da un viaggio in… Asia) e l’hard rock di “Metamorphosis” che coronano un album sicuramente godibile e ben fatto.
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Valentino Butti
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