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SEVENTH WILL |
Ordinary Li(f)e |
autoprod. |
2010 |
ITA |
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C’era un tempo in cui scrivere un concept album rappresentava un punto d’arrivo per tante band famose, quasi un banco di prova per testare la propria crescita musicale e la maturazione artistica, con il rischio sempre in agguato di produrre un flop o, nella migliore delle ipotesi, di essere definiti pretenziosi. Ora sembra che non si possa prescindere dal pubblicare un concept (o addirittura un’Opera Rock) anche se si tratta della prima prova discografica. Non che questo sia per forza un male se il prodotto finale è valido. Il fatto è che con questa overdose di dischi a tema non esiste più la sorpresa, la voglia di scoprire la storia e i suoi protagonisti, e quello che era solo uno dei tanti clichè del rock progressivo ha la sua scontata legittimazione proprio grazie alle band moderne che i clichè dovrebbero cercare di abbatterli. Se non l’avevate ancora capito, e senza volerlo sminuire a priori, il disco oggetto della recensione è proprio un album d’esordio ed è proprio un concept, la cui storia è paragonata dagli autori nientemeno che alla forma letteraria del “romanzo di formazione”, con protagonista un uomo qualunque dalla personalità contorta che (mi pare di intuire) ad un certo punto della sua vita si rende conto di quanto questa sia vuota e falsa e quindi si adopera per cambiarla e raggiungere un ideale più alto e vero (il famigerato “Streben”, concetto tanto caro agli autori romantici). Queste premesse vengono inserite dai Seventh Will in un contesto musicale altrettanto ambizioso, motivato dal desiderio di realizzare una sintesi tra atmosfere progressive e psichedeliche, con un impegno profuso dai cinque ragazzi romani veramente ammirevole. All’ascolto balza subito all’orecchio che non ci troviamo di fronte a musicisti improvvisati. L’esperienza e la tecnica sono evidenti, tanto che quest’ultima ogni tanto sfugge al controllo. Il suono e gli arrangiamenti denotano una certa varietà ma il risultato generale sa più di un’alternanza di generi che di una loro integrazione. Scorrendo le tracce questo è abbastanza evidente, a partire dall’intenzione progressiva di “Ordinary life”, caratterizzata da un roboante riff suonato all’unisono dagli strumenti e poi da temi hard rock e parti che ricordano i Porcupine Tree. Purtroppo appare evidente anche la registrazione non eccezionale, caratterizzata da un suono soffocato e sbilanciato. Nei brani meno tirati questo difetto è poco evidente, come in “Sea without shore” e “Outside the rain”, dove possiamo apprezzare meglio l’atmosfera e la melodia. “In circle” cede il passo ad un prog-metal ammorbidito, ben strutturato ma con una voce a tratti non eccezionale e alcune parti di chitarra troppo forzate. La parte psichedelica dei Seventh Will è evidente soprattutto in “Lying on a pink cloud”, con la prima metà dominata da atmosfere orientaleggianti e la seconda nuovamente basata su atmosfere più dure. “Acid carousel”, con la voce angosciosa e gli arrangiamenti teatrali mi fa pensare a certi momenti di “The Wall” mentre la conclusiva “Starseeing on the shore” cerca di mediare tra le influenze spiattellate durante tutto l’album, producendo un sound la cui matrice post-rock è evidente. “Ordinary li(f)e” è senz’altro il risultato di un lavoro impegnativo, nel quale gli autori hanno cercato di infondere la propria perizia con la convinzione di poter realizzare un prodotto di classe, curato e ambizioso. Il risultato è stato ottenuto, a discapito però della freschezza, della spontaneità e della coerenza. Per essere un primo album credo che i Seventh Will possano ritenersi soddisfatti. C’è però, a mio avviso, la necessità di limare certi difetti, come la tendenza a strafare dal punto di vista strumentale, vocale e compositivo. Le potenzialità ci sono, non resta quindi che sperare nel prossimo album che, avete indovinato, sarà un concept.
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Nicola Sulas
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