"Flux" è un disco strano. Per molti versi sconcertante e a tratti quasi antipatico, e ciò nonostante è una delle cose più intriganti che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tempi. I MOOR impersonano il vento nuovo che viene dal Nord; sono tra coloro che intendono portare una sferzata d'aria fresca all'interno del progressive per condurlo rigenerato verso il Duemila. Grazie ad una produzione decisamente sopra le righe, è possibile apprezzare tutta la complessità della loro proposta, uno strano connubio tra elettronica, avanguardia ed elementi sinfonici (è presente, e si fa ben sentire, un'ampia sezione di fiati) che alterna a momenti di improvvisazione corale (un po' come accadeva, anche se con risultati diversi, nei King Crimson del periodo '73-'74) a partiture attentamente studiate a tavolino, al fine di creare qualcosa di realmente diverso ed originale. Il difetto di fondo è che il tasso di orecchiabilità del tutto si mantiene spesso su livelli molto vicini allo zero, ed allora diventa difficile lasciarsi trasportare dalla musica dei MOOR, che si dimostra piuttosto fonte di angoscia per l'ascoltatore. Come conseguenza di ciò, è nei momenti in cui questi iniettano dosi (anche minime) di melodia che vengono fuori le cose migliori: suggeriamo perciò di continuare lungo le strade tracciate da stralunate ballate come "Baby" (brano da cui ci sarebbe molto da imparare) o da brani incalzanti come "Body". Rileviamo infine come "Flux" sia un disco interessante anche nei testi, cascate di frasi declamate da una voce filtrata che sembra provenire da un'altra stanza che parlano delle angosce dell'uomo e della società, e che costituiscono parte integrante della musica, piuttosto che sovrapporsi semplicemente ad essa. Il secondo disco di questi svedesi è un disco che in molti odieranno, e che probabilmente qualcuno amerà alla follia; aggiustando un po' il tiro i MOOR potrebbero comunque riuscire a mettere d'accordo tutti.