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AFTER CRYING Creatura Periferic Records 2011 UNG

Forse più di qualsiasi altra band che calca il suolo terracqueo, quella degli After Crying è riuscita ad imprimere il proprio sigillo al nuovo Prog di fine millennio, forgiando una vera e propria collana di sei perle perfette, composta da sei album in studio (dal 1990 al 2003) di grande spessore artistico, tutti stilisticamente eterogenei ma allo stesso tempo dotati di un marchio chiaramente riconoscibile.
Se “Show”, l’album precedente, aveva fatto parlare di sé, uscendo comunque vincitore al vaglio della critica e dei fan, questa neonata “Creatura” è sicuramente destinata a creare spaccature ancora più profonde. Si tratta infatti di un’opera estremamente frammentata e di lettura complessa, in cui è difficile trovare un filo conduttore che consenta un ascolto agevole dall’inizio alla fine. Se poi prendiamo in considerazione singolarmente i diversi frammenti ci accorgiamo che la cosa non funziona: è quasi impossibile estrapolare una canzone a caso da questo album proprio perché ogni pezzo ha un senso solo nell’ambito di un contesto più ampio e isolandolo dall’insieme otteniamo solo un fotogramma di un film la cui storia può essere colta soltanto iniziando il cammino dall’inizio.
Un piccolo aiuto ce lo fornisce però la struttura stessa dell’opera, separata in quattro blocchi distinti di canzoni, ognuno dei quali è designato da un punto cardinale. Se andare da “Ovest” a “Sud”, camminando senza mai fermarsi per un’ora e tre minuti, si rivela estenuante, affrontare l’ascolto in quattro tappe può essere certamente un ottimo compromesso. Ogni movimento è introdotto da un identico “Preludio” che viene arrangiato però in modo diverso: è “furioso” a ovest, “percussivo” a nord, “metropolitano” a est e torna infine “percussivo” a sud. Ogni volta sarà quindi un po’ come iniziare da capo un viaggio diverso. C’è poi una spaventosa convergenza di stili e impressioni, non sempre piacevoli a dire il vero, che si alternano vertiginosamente a imbrogliare ancora di più le idee. Vecchio e nuovo convivono in un sound che affonda le proprie radici nel terreno della musica contemporanea e del prog sinfonico-cameristico ma che allo stesso tempo abbraccia con i propri rami versanti elettronici, avanguardistici, ma all’occorrenza anche noise, pop e metal.
Anche il vecchio “Show” presentava caratteristiche per certi versi analoghe, partendo da scenari classici, in cui venivano inoculati i paradossi e le paure dei nostri tempi, in un tripudio di sonorità antiche e moderne. Direi che “Creatura”, un nome che rispecchia la freschezza, la purezza e la fragilità di una nuova vita, parte proprio da qui, portando dentro di sé la bellezza dei suoni classici del passato ma anche l’ansia e la turbolenza di un futuro ormai imminente, pieno di incertezze e paure, che si traduce nella frenetica mescolanza di stili cui ho accennato. Avrete intuito a questo punto che forse per la prima volta nella loro carriera gli After Crying iniziano a riciclare il proprio repertorio, prendendo spunto da sé stessi per confezionare un nuovo lavoro. Non vedo tutto ciò in maniera del tutto negativa ma sicuramente qualche equilibrio inizia a destabilizzarsi all’interno di una band che fino ad ora era riuscita sempre a rigenerarsi con grande creatività.
Proprio lo splendido “Preludio” rischia di rivelarsi un’arma a doppio taglio: apre il disco spingendo esponenzialmente sempre più in alto l’adrenalina e l’entusiasmo, attraverso sequenze cameristiche elettrificate assolutamente dirompenti che possono ricordare qualcosa di “6” ma il contraltare è rappresentato tuttavia dal fatto che la maggior parte dell’album non si mantiene sugli stessi livelli stilistici ed emotivi. Sì, ci sono episodi orchestrali ugualmente fulminanti, come “Haisza”, ma si tratta di lampi improvvisi che rischiarano un insieme musicale assai mutevole ed eclettico. All’interno di questo calderone possiamo individuare delle tracce assolutamente sublimi come “Kettétört” che sfoggia una partitura di piano soave e melodie ariose che ci riportano alle origini, verso “Overground Music”. Una traccia semplice come “Tárogató” si rivela alla stessa maniera ricca di magia. Molto essenziali ma comunque incantevoli sono intermezzi come “Kevésbé fontos dolgok – Klasszikus miniatűr”, una miniatura per solo piano, oppure “Akkor majd a kővwk énekelnek”, un interludio per violoncello, o anche “Ne sírj!”, fugace e delicata; tutte visioni fuggevoli queste, che hanno il fascino dell’incompiuto e delle frasi musicali appena sussurrate. A questi momenti minimali di musica da camera si affiancano tracce in cui suoni elettrici ed acustici si mescolano fra loro in maniera più forte e all’occorrenza rumorosa, come nella Frippiana “Esőisten”, irrobustita da tastiere che sfoggiano piacevoli fragranze vintage, o come in “Goromba”, dai suoni taglienti dominati dalla chitarra elettrica.
Ma tutto è estremamente mutevole in questo album in cui le varie schegge sonore si avvicendano velocemente: pensate che abbiamo un totale di 23 tracce che in buona parte dei casi durano soltanto uno o due minuti. C’è persino spazio per qualche riempitivo di dubbio gusto, come “iLove Story” o come l’insipida “U-sheped”, o la conclusiva “Ne félj, nem lesz baj” con i suoi coretti da spiaggia. Episodi questi che mi fanno pensare a qualche esca buttata qua e là per attirare pubblico di diversa provenienza e che non saprei spiegarmi altrimenti. Riguardo le sequenze recitate che vengono snocciolate qua e là posso dire che in alcuni casi appesantiscono l’ascolto, soprattutto se non si è in grado di comprendere il significato delle parole. Nonostante i momenti di flessione e le critiche che possiamo muovere ad un lavoro del genere, devo ricordarvi che stiamo comunque parlando di un signor album, che non starà al vertice della discografia degli After Crying ma che, soprattutto nei suoi momenti più alti, spazza via senza troppa fatica buona parte delle produzioni Prog recenti. La caratura dei musicisti, esecutori precisi e compositori brillanti, continua a vedersi; certo è che da una band così mi aspetterei un’opera interamente di alto profilo, cosa che è sicuramente alla sua portata.
Questo album è come uno specchio rotto in mille pezzi che riflettono i frammenti del mondo circostante ognuno in maniera diversa ma all’interno dei quali non riusciamo a vedere nessuna immagine definita. Potreste rimanerne spiazzati ma il risultato, nelle sue mille contraddizioni, è comunque interessante. Un ultimo consiglio: ascoltatelo più volte, iniziando magari ogni volta da un diverso blocco di canzoni: quello che ad un primo assaggio può sembrare indigesto finirà con l’acquistare tutto un altro sapore.


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Jessica Attene

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