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NETHERLAND DWARF |
Moi moi |
Musea Parallèle |
2011 |
JAP |
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Dietro all’insolito nome Netherland dwarf (una specie di coniglio originario dei Paesi bassi) si cela il progetto di un tastierista giapponese (ma per quel che NON si capisce dalle note di copertina potrebbe essere anche una donna…) di cui “Moi moi” rappresenta il debut-album. “Moi moi” (si leggerà alla francese oppure alla finlandese…? O in quale altra lingua ancora?) è diviso in 9 tracce di cui solo 5 sono opera dell’artista nipponico, mentre le restanti 4 sono “riletture” in chiave rock di altrettanti estratti di sinfonie di autori classici quali Haydn, Händel, Glinka e Saint–Saëns, in un “pastiche” che solo a tratti convince appieno. I brani “originali” migliori sono posti ad inizio e a fine lavoro. “Alone in the blizzard dawn” (a parte i primi due minuti più simili ad una ghost-track) è un bel florilegio di prog-sinfonico di buon livello, barocca ma non tronfia esibizione di capacità strumentale; mentre, pur muovendosi in contesto simile, appare meno ricca di fantasia la conclusiva “Alone in the twilight orange”. Dei semplici interludi-riempitivo si rivelano “Netherland dwarf” (ricca di campionature ad effetto) e la title track, un concentrato (81 secondi) quasi minimalista. Sulla scelta delle rivisitazione “classiche” il dibattito può essere infinito. Non su quale autore proporre, ma sul “perché” decidere di omaggiare dei compositori di secoli fa.
Non entrando del merito, ci limitiamo a giudicare quanto ci viene presentato ben consci che l’originale è senz’altro meglio. Premessa inevitabile che comunque non ci impedisce di promuovere l’interpretazione dell’Ouverture di “Ruslan e Ludmilla“ di Glinka (magari ascoltate la versione primigenia con orchestra per farsene un’ulteriore idea). Lo ”Halleluja” di Händel è troppo “grande” per essere riproposta senza destare più di una perplessità. Ammiccanti le sonorità medio-orientali di “Sansone e Dalila” di Saint-Saëns, mentre il trattamento “bombastic” riservato alla Sinfonia n.104 (Londra) di Haydn ci lascia piuttosto esterrefatti. Un lavoro, questo “Moi moi”, che si protrae tra alti e bassi e che, pur facendoci apprezzare, a sprazzi, il talento dell’esecutore, dall’altro non cancella le limitazioni che una “one-man band” continua a proporci. Incertezze e dubbi che vengono acuiti dalla presenza di pochi minuti soltanto creati dal musicista del Sol levante.
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Valentino Butti
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