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17 PYGMIES CIII: even Celestina gets the blues Trakwerks 2012 USA

La musica di Celestina sembra provenire dallo spazio profondo, con i suoi movimenti estremamente lenti che sembrano avvenire in assenza di gravità. E’ leggera e splendente come polvere di stelle ed è incredibilmente dilatata ed onirica. In maniera soffice e gentile riempie progressivamente l’atmosfera creando un ambiente sonoro rarefatto e piacevole. Colorazioni elettroniche, sonorità vintage di tastiere e anche strumenti classici come oboe, viola e violoncello, suonati in questo caso da tre special guest, creano qualcosa che sembra orbitare fra il cielo e la Terra, attraverso visioni astrali fatte di suoni artificiali ed elementi musicali più familiari che fluttuano fra il post rock, il pop, l’elettronica ed il prog sinfonico.
Questo album è il terzo capito di una trilogia iniziata con la pubblicazione di “Celestina” nel 2008 e secondo me non può essere slegato dai precedenti episodi, anche perché la storia, narrata in maniera minuziosa nei ricchissimi booklet allegati a edizioni splendide, ricche di ornamenti, guida l’ascolto di una musica che ricrea alla perfezione le ambientazioni in cui si svolgono le vicende di questa saga spaziale che si sviluppa in crescendo, capitolo dopo capitolo. E’ tempo ormai per l’equipaggio di Celestina di tornare sul nostro pianeta, portando con sé il messaggio ed i segreti appresi nel suo viaggio all’interno di un buco nero e questo ritorno sulla Terra è accompagnato da una musica che, rispetto al passato, si è arricchita di particolari e soprattutto di preziosi elementi classici ed orchestrali, pur non perdendo mai quell’andamento morbido e in un certo senso soporifero che perdura dall’inizio della storia, senza mai subire accelerazioni di sorta o brusche deviazioni.
La voce splendida di Meg Maryatt (che suona anche piano, chitarra e synth) ci accompagna di nuovo col suo timbro dolce e rilassante e sembra quasi rivolgersi all’ascoltatore dall’interno di in una bolla dove il tempo è fermo e lo spazio è dilatato all’infinito. I synth sono gli artefici delle atmosfere più belle dell’album e sono suonati praticamente da tutti, dal chitarrista Jeff Brenneman, dal batterista Dirk Doucette e dal bassista e chitarrista, nonché leader del gruppo e autore del concept, Jackson Del Ray. Le trame ritmiche sono appena appena disegnate e si sviluppano spesso in un morbido 4/4 e a volte persino a ritmo di valzer che sembra accompagnare l’ascoltatore in una danza fra le stelle come nella seconda traccia, “Celestina XXIV” (tutti i titoli sono come al solito designati da un numero progressivo in cifre romane) che progredisce in lento crescendo, come una nuvola di vapore che si disperde nell’aria, accompagnata da coltri di Mellotron, una batteria filiforme, atmosfere Floydiane e morbidi ricami elettronici che danno costantemente l’idea dello spazio profondo. Molto belle le linee melodiche del capitolo XXVI, molto minimali e delicate, che ricordano qualcosa dal sapore vagamente orientale. In alcuni episodi la musica si fa più astratta, cosmica e tecnologica, con riverberi alla Tangerine Dream, ma in generale l’ultimo episodio di “Celestina” ci riporta sulla Terra e c’è spazio anche per sorprese come il capitolo XXXI, un valzer anche qui, fatto con strumenti acustici, con la chitarra arpeggiata e gli archi, una vera delizia che risalta particolarmente nel contesto di questo album ma senza bruschi salti, non interrompendo mai il flusso emotivo che perdura costantemente dall’inizio alla fine. Molto onirica è la penultima traccia, il capitolo XXXIII, che somiglia ad una grigia e spenta musica da circo, scandita dai rintocchi di campane tubulari e densamente velata da vapori cosmici. Una trovata molto azzeccata è proprio quella di lasciare ampio spazio alla musica che riempie delicatamente ogni dove, con un intervento molto limitato della voce di Meg che è un bellissimo ornamento più che una voce narrante. Tutta la storia infatti è descritta, come accennato, nel booklet che contiene dialoghi e descrizioni, come il copione di un’opera teatrale.
Se avete apprezzato i precedenti due lavori non potete privarvi certamente di quest’ultimo che vi regalerà un bellissimo finale che non voglio svelarvi troppo in anticipo e che rappresenta il perfezionamento di una formula musicale decisamente personale; se siete incuriositi potreste iniziare anche da qui, certamente, la musica ha comunque un valore universale e può essere apprezzata anche al di là del concept, proprio perché è poco verbosa e molto di atmosfera ma anche in questo caso direi di non indugiare perché la stampa di questo disco, che vi arriverà avviluppato in carta pergamena, con nastrini, brillantini, fiocchetti e un sigillo di ceralacca a chiudere il tutto, è limitata.


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Jessica Attene

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