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WALLY Montpellier Wally Music/Gonzo 2010 UK

Forse sto per dire una banalità, ma lo straordinario livello di creatività che caratterizzò la scena rock degli anni ’70 ebbe come effetto collaterale il mancato riconoscimento che sarebbe spettato a centinaia di band dalle capacità notevoli, rimaste nell’oscurità proprio per… sovrappopolamento, tempistiche errate, opportunità non colte, accuse di derivatività o di eccessiva somiglianza a band di maggior fama, e così via. Non fu questo il caso dei Wally, band originaria di Harrogate, contea dello Yorkshire, che nonostante oggi sia ricordata da pochi cultori dell’art rock inglese, ebbe i giusti “agganci” che poteveno garantir loro una carriera ben più ricca di soddisfazioni. Accolti sotto l’ala protettiva del famigerato DJ della BBC Bob Harris in seguito ad un concorso per band emergenti indetto dal Melody Maker (vinto dai Druid, altra nostra gradita conoscenza), la band capitanata dal cantante e autore Roy Webber ebbe modo di beneficiare di un contratto con la prestigiosa etichetta Atlantic Records, nonché della produzione artistica di Rick Wakeman sull’eponimo album d’esordio del 1974 e del management di Brian Lane (noto per il suo lavoro con gli Yes). Nonostante ciò, all’indomani della pubblicazione del secondo album “Valley Gardens”, il logorio causato dall’intensa attività live e la scadenza del contratto discografico, causarono il prematuro scioglimento del gruppo, di cui non si sentirà più parlare per oltre 30 anni, se non nelle parole di apprezzamento dei più oculati collezionisti ed appassionati.
La musica suonata dal sestetto era – e in parte è ancora oggi – un’atipica ma felice combinazione di elementi prog-sinfonici con sonorità più tipiche della scena West Coast americana, in cui suoni di Fender Rhodes e Mellotron convivevano senza forzature con armonie vocali in stile CSN o Jefferson Airplane, una pedal steel guitar e un violino dal sapore country.
La reunion dei sei membri superstiti delle diverse line-up, avvenuta nel 2009 (l’album è dedicato agli scomparsi Paul Gerrett e Pete Cosker) ha finalmente riversato su disco i brani concepiti in origine per un pianificato terzo album a metà degli anni settanta, aggiungendo materiale totalmente nuovo concepito in studio dalla rinvigorita band, cui si è affiancato il chitarrista Will Jackson, già collaboratore di Webber in un altro progetto. Il risultato è un lavoro apprezzabile ma un po’ discontinuo, in cui ritroviamo le sonorità dei primi lavori, ma anche episodi troppo mainstream di cui avrei personalmente fatto a meno.
Quindi, se l’apertura “Sailor” è un brano emozionante e promettente, basato su un cantato nostalgico, una chitarra frizzante e l’organo di Nick Glennie-Smith (lo ricordiamo a Berlino nella band di Roger Waters…) e la seguente “Sister Moon” è una ballata semplice ma coinvolgente, dobbiamo attendere che l’album si avvii verso la conclusione affinché il gradimento torni agli eccellenti livelli iniziali. I brani che seguono, infatti, non riescono a sorpassare la soglia della mediocrità, con alcune cadute di stile come il trito rock pseudo-adolescenziale di “The thrill is gone”, la narrazione di “Surfing”, brano firmato e cantato dall’altro songwriter Paul Middleton – l’anima blues dei Wally - e salvato dal violino di Pete Sage, ma anche tentativi di emulare le giovani leve della scena inglese contemporanea. E’ con “She said” che torniamo a tendere l’orecchio, un brano intenso che riporta al miglior Neil Young del periodo “On the Beach”, nato dalla collaborazione tra Jackson e Webber, un vero gioiellino da pelle d’oca. La conclusione è dolce: l’intro di violino, la steel guitar di Frank Mizen e la voce di Roy in “Giving” sono melliflui e ci cullano verso le ultime note trasmettendo un senso di pace.
Tirando le somme, non mi sento di dire che questo “Montpellier” (il titolo non fa riferimento alla città francese, bensì ad un quartiere della loro città natale) rinverdisca appieno i fasti di una band in passato sottovalutata: la visione di insieme sembra poco chiara, ma forse è naturale, considerando che dopo tre decenni ciascun musicista ha maturato una propria sensibilità differente e non sempre riconciliabile con gli intenti unitari della band. Detto ciò, il lavoro si fregia di almeno quattro episodi più che apprezzabili, quindi chi annovera nella sua collezione i vinili con la mezzaluna in copertina non dovrebbe affatto escludere a priori l’acquisto.
Concludo aggiungendo che la reunion in oggetto non è affatto velleitaria e che i Wally continuano la loro attività concertistica, coronata dalla recente pubblicazione di un doppio live (“To the Urban Man”) e di un DVD (“That Was Then”).


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Mauro Ranchicchio

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