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COPERNICUS |
Victim of the Sky |
Nevermore |
1985 (Moonjune 2012) |
USA |
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Ultimamente gli album di Copernicus escono fuori come lumache dopo una giornata di pioggia. La Moonjune sembra seriamente intenzionata a ristampare l’intero catalogo dell’eccentrico artista statunitense. Dopo aver prodotto gli ultimi due lavori e ristampato il primo album “Nothing Exists” del 1984 e il DVD del concerto “Live in Prague” del 1989 è arrivato ora il momento del secondo album “Victim of the Sky” del 1985. Nel bene e nel male, anche in questo disco, Joseph Smalkowski, in arte Copernicus, è sempre lui, senza scendere ad alcun compromesso. Pur suonando le tastiere rifiuta di essere etichettato come musicista. Anche la proposta musicale è sempre la stessa degli album che l’hanno preceduto e che lo seguiranno. Musica astratta che fa da contorno agli sproloqui verbali declamati da Copernicus. Con pretese di fare musica d’avanguardia, l’artista newyorkese mette nel suo calderone ogni genere possibile. Non ci possiamo quindi sorprendere della sua versione deviata di Johnny Cash nel brano “The Wanderer”, così come dei ritmi disco di “Victim of the Sky” o del reggae di “Desparate”. In molti dei brani l’approccio musicale è molto minimalista (“Lies”, “NotHimAgain”, “The Lament of JoeApples”) con ampio utilizzo diloop ripetuti. Tuttavia la parte centrale dell’opera sono sicuramente i testi e la musica solo un mezzo per farli arrivare con più facilità all’ascoltatore. Nel complesso un po’ fumoso, Copernicus sfoga con le sue parole la sua rabbia contro la società, va contro tutti e tutto (in particolare contro i sentimenti di patriottismo), si interroga sul significato della vita senza trovare risposte, affronta a modo suo tematiche delicate come quelle del razzismo. Gli piace sovraccaricare le sue parole di enfasi e pathos, risultando alle volte un po’ tronfio e andando spesso volutamente in contrasto con l’approccio minimalista di alcune composizioni. Tutto l’album è registrato dal vivo e molti brani sono improvvisati sul momento. Ad assecondare Copernicus nelle sue follie c’è una nutrita band di musicisti. Tra questi spiccano Pierce Turner che, oltre a suonare le tastiere, dirige l’ensemble, e il multistrumentista Larry Kirwan che scrive anche il brano “Desperate”. Che dire… come al solito il tutto ha un suo senso e il buon Copernicus riesce nel suo intento. Sta a noi capire se le sue intenzioni convergono con le nostre. Preso singolarmente, è un album che, pur tra mille difetti, possiede un suo fascino e una genuinità tale da potergli perdonare quasi tutto. Forse è anche una delle sue opere migliori. Il problema è che se già si possiede un altro album dell’artista newyorkese non consiglierei mai l’acquisto di un secondo, a meno che non si sia estremamente interessati alle liriche. Cosa che almeno personalmente non mi riguarda!!!
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Francesco Inglima
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