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VAZYTOUILLE |
Vazytouille |
Circum Disc |
2011 |
FRA |
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La sua distribuzione al di fuori dei classici canali del Progressive Rock forse rischia di celare agli occhi degli appassionati un album decisamente interessante, soprattutto per chi ha un orecchio avanguardistico. Anche il mio approccio a questo disco è del tutto occasionale e decisamente in ritardo rispetto alla sua data di uscita. Sono quindi qui per rimediare e per riportare alla luce questa piccola gemma sotterranea. Questo gruppo in realtà è un’orchestra in miniatura di quattordici elementi, tutti provenienti dal collettivo Zoone Libre, un insieme di musicisti e commedianti che mescola musica e teatro. Sono certa che queste informazioni in realtà non vi dicono niente, e allora cerchiamo qualche appiglio più utile sul piano pratico. Prima di tutto vorrei farvi notare che l’album è stato masterizzato da Alan Ward, quello degli Univers Zero per intenderci, e aggiungiamo poi che fra la folta line-up è presente, al piano e al Rhodes, Jérémie Ternoy, e cioè il nuovo tastierista dei Magma. Nei Vazytouille troviamo un po’ di tutto: la nutrita formazione infatti ha un nucleo jazz-rock attorno al quale orbitano elementi di musica da camera, si trasforma ora in big band, ora in piccola orchestra sinfonica con un appeal RIO, intersecando improvvisazione con composizioni più strutturate di ispirazione classica. E’ ora stravagante, ora lirica con guizzi improvvisi di fantasia che a tratti sfiorano anche lo Zeuhl, soprattutto quando spuntano fuori certe parti corali. Facendo quattro conti troviamo, a parte le tastiere di cui abbiamo già parlato, una parte ritmica gestita dal batterista Charles Duytschaever, dal percussionista Bruno Kamalski e dal contrabbassista Mathieu Millet. Il nucleo jazz-rock viene completato dal chitarrista Jean-Louis Morais, dai tre sax tenore, basso e baritono e dalla tromba. L’aspetto sinfonico e cameristico viene invece curato da quattro fanciulle che suonano il violino, il violoncello, il flauto (ce ne sono due) e allo stesso tempo cantano quando previsto. Le canzoni si strutturano grazie all’aggregazione di una serie di elementi alla volta, non abbiamo mai un suono eccessivamente pieno ma uno spartito che lascia via via spazio alle tante colorazioni e alle tante fluttuazioni della musica. A volte si ha quasi l’impressione che l’opera sia un po’ sfuggevole, proprio perché manca in compattezza ma oscilla, con lo scorrere delle canzoni, liberamente in tante direzioni, come se si trattasse di una banderuola che cambia orientamento in base alla brezza che tira. E attenzione, ho parlato di brezza e non di vento forte: anche se le sollecitazioni acustiche non mancano, la musica si sviluppa sempre con garbo misurato, diventa stuzzicante, se vogliamo, ma non esplode mai in modo impetuoso. L’apertura “Du Jour” è oltremodo curiosa, con i suoi vocalizzi ripetitivi e sovrapposti in modo da creare un effetto quasi di ubriacatura, ma presto ecco che viene srotolato un delicato tappeto di stampo Canterburyano, dominato dal flauto, ma allo stesso tempo pieno di tante briciole che sembra vengano spazzate via all’improvviso con tanti piccoli scrolloni. I vocalizzi che si nascondono dietro al piano brillante hanno qualcosa di Zeuhl, indubbiamente, ma l’impressione complessiva mi porta invece verso i conterranei e purtroppo estinti “La Zombie Et Ses Bizons”, paragone questo che appare ancora più tenace per la successiva “Orgiak Suite”. Vi sono scenari decisamente poetici, anche se articolati, ed altri più capricciosi, come “La Chute” con i suoi fiati imbizzarriti e le sue aperture verso l’improvvisazione, o come la seconda parte della suite “Masay Christo”, ricca di astrattismi, o ancora come nella totalmente destrutturata “Si... Si…”. Alcune convulsioni vocali, come quelle di “Babiole”, mi ricordano un po’ L’Oeil Du Sourd, altre volte, come accennato, si sconfina in territori Magmatici, come in “Titicaca” o in “Dégel”, su cui sembra allungarsi anche l’ombra oscura degli Univers Zero. In realtà comunque gli interventi vocali sono piuttosto contenuti e nel corso dell’ascolto la musica divaga molto offrendo varie combinazioni delle sue diverse qualità. Sicuramente per la sua sfuggevolezza l’album merita diversi ascolti e direi che la difficoltà che si prova a dargli una precisa collocazione non può che essere un grande merito di questa band che unisce musicisti con caratteristiche e caratteri assai diversi. La conclusione di tanto parlare, spero non troppo a vanvera, è che l’album merita di essere ascoltato e preso in considerazione, anche per il suo pregio di varcare in maniera non prepotente diversi confini.
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Jessica Attene
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