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PAUL D'ADAMO Tell me something Pooka Music Publishing/BMI 2010 USA

Paul D’Adamo è un cantante americano (bel timbro e discreta estensione vocale) di origini italiane e trattiamo il suo album “Tell me something” in quanto vi troviamo ben sei interpretazioni di brani tratti dall’universo Genesis. A rendere ancora più interessante la cosa, basta elencare alcuni dei vari musicisti coinvolti, visto che sono presenti, tra gli altri, Chester Thompson, Daryl Stuermer, Leland Sklar, Luis Conte, Duane Stuermer e Brad Cole (alcuni di questi fidi collaboratori di Phil Collins). Una vera e propria parata di stelle. Ma partiamo dal repertorio Genesis. Innanzitutto segnaliamo “Entangled”, una delle perle più luccicanti del post Gabriel. Ascoltare un brano così bello è sempre piacevole, anche in questa versione moderna, con un suono “pieno”, meno dinamico dell’originale, con la batteria forse un po’ invadente, ma anche con una prova maiuscola di Daryl Stuermer alla chitarra e un bel solo di sax. Molto bella la cover di “Please don’t ask”, che inizia delicatamente con piano e voce, a cui si affiancano poi ritmi compassati, un elegante violoncello ed un sax leggero. “Like it or not”, invece, tratta da “Abacab”, l’album del “cambiamento” dei Genesis, viene presentata in una belle veste quasi hard-rock (anche se non perde la vena melodica) ed è ancora la chitarra robusta di Stuermer ad essere sugli scudi. Brividi anche per “Guide vocal”, breve composizione banksiana qui riproposta a cappella con più voci. Due canzoni, invece, provengono dal repertorio di Phil Collins; si tratta di “Long long way to go” e “Doesn’t anybody stay together anymore”, entrambe orientate verso un pop-rock di classe, gradevole, ma alla fin fine senza infamia e senza lode.
E gli altri quattro brani dell’album? Tre sono a firma dello stesso D’Adamo: il bel groove della title-track, che trascina in un soul-rock con inflessioni jazzate; l’eccessivamente caramellosa “Miss you”, ballad dolce e pacchiana; la briosa “Woman like you”, canzone abbastanza sempliciotta. Uno, invece è tratto dal repertorio del filippino Jose Mari Chan: si intitola “Constant change” ed è una piacevolissima sorpresa, a partire dall’apertura affidata a flauto e fagotto, per poi proseguire con l’arpeggio chitarristico di base e le intriganti melodie vocali di un pop romantico fine ed elegante.
Un bell’album nel suo genere, per di più estremamente professionale e ben curato sotto ogni aspetto. La curiosità per i progster resta nelle cover legate al mondo genesi siano, ma se non si hanno ampie vedute e si vive di suite e cambi di tempo si potrebbe avere anche pochissimo interesse in “Tell me something”. Insomma, il cd può essere molto appetibile per i fan di Collins e decisamente meno per chi è alla continua ricerca di valido rock sinfonico di matrice Genesis.


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Peppe Di Spirito

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