Per Alessandro Farinella il tempo sembra essersi fermato a qualche annetto fa, quando il new-prog aveva un certo seguito e quando i Theatre realizzarono un album molto apprezzato nell’ambiente italiano. “Road to Damascus” è il suo secondo lavoro solista dopo “Momo” (uscito nel 2008) e segue la vena stilistica delle sue precedenti esperienze. Nessuna sorpresa, quindi, per chi ha seguito il musicista in passato, ma bisogna ammettere che per questo nuovo parto Farinella si mostra decisamente in forma e sforna sei nuove composizioni che ancora una volta possono far venire la pelle d’oca a chi non si stanca mai di ascoltare proposte ampiamente influenzate da classici del filone romantico-sinfonico quali Genesis, Anthony Phillips, Yes e Marillion. Dal rock classicheggiante e strumentale dell’opener “The battle”, perfetto biglietto da visita, all’orientamento più melodico e diretto della conclusiva “Euridice” (unico pezzo cantato in italiano), passando per le mille variazioni della title-track, aggressiva e vibrante all’inizio, più riflessiva ed elegante con i tocchi semiacustici nella sua seconda parte, e per altri brani sapientemente costruiti ed eseguiti, scorrono lisci oltre tre quarti d’ora di new-prog di buonissima fattura.
In “Momo” Farinella aveva già dimostrato di poter dire buone cose e riprendere in maniera convincente il discorso interrotto troppo presto con i Theatre; con “Road to Damascus” riesce a fare un ulteriore passo avanti e migliorare i risultati della prima prova solista, soprattutto per merito di un songwriting più raffinato e ricercato. Si tratta comunque di un classico disco destinato ad un target ben preciso, individuabile nei nostalgici ammiratori del romanticismo rock e del prog che negli Eightes è riuscito parzialmente ad uscire dalla nicchia e dal dimenticatoio. Per questa cerchia di ascoltatori, quindi, Farinella conferma che con la sua musica può regalare nuove emozioni e può elevarsi ben oltre la media, da un po’ di tempo in fase decrescente, di prodotti che seguono le stesse coordinate.