|
17 PYGMIES |
Isabel |
Trakwerk Records |
2013 |
USA |
|
Nell’era della smaterializzazione, in cui le nuove generazioni tendono a distaccarsi sempre più dall’esigenza di un supporto fisico, è un vero sollievo per me avere fra le mani un’opera del genere, che si possa ascoltare ovviamente, ma anche toccare, guardare e leggere e che racchiuda in un certo senso dentro di sé un pezzettino dell’anima di chi la ha creata. Proprio come fecero ormai più di quaranta anni fa gli svedesi Handgjort che, in opposizione alle logiche di spersonalizzazione del processo industriale, decisero di realizzare a mano, una per una, le copertine del loro album di esordio, così anche i 17 Pygmies ci offrono opere personalizzate e ricche di dettagli. La copertina presenta un bellissimo intreccio di fili laminati che vanno a formare una stella, con colori che variano da copia a copia, e il booklet, di trentasei pagine, in carta pergamenata dai riflessi metallici, è accuratamente rilegato con un bel nastrino. E poi c’è la parte letteraria con una nuova storia che si svilupperà, come per il precedente concept “Celestina” di cui questo “Isabel” rappresenta il sequel, in una trilogia. E non è finita, perché il gruppo ha commissionato alla disegnatrice Natalya Kosolowsky un book illustrato ispirato alla nuova saga, venduto però separatamente rispetto al CD ma sinergico ad esso nel nutrire la fantasia dell’ascoltatore. La dottoressa Isabel, tornata sulla Terra dopo la missione esplorativa di un buco nero, dettagliatamente raccontata, come detto, nei precedenti tre album, si ritrova in una situazione di pericolo, assieme all’astronave ipertecnologica e umanizzata Celestina. Il centro studi cui afferisce infatti vuole cancellare tutte le tracce del recente viaggio che le aveva permesso di scoprire una colonia di robot dai sentimenti umani, custode di un messaggio mistico da affidare all’umanità. Proprio questo messaggio che espande il concetto di fede, salvezza, coscienza oltre le barriere della vita biologica viene considerato come una minaccia e a Isabel e Celestina non resta che scappare, rifugiandosi in moderne catacombe con l’aiuto del cyborg Alfons. Non voglio svelare qui il contenuto dei primi dodici capitoli di questa saga, racchiusi in altrettante canzoni, designate, a parte la conclusiva “Kyrie”, da numeri progressivi, come ormai nelle abitudini del gruppo, proprio perché la lettura del booklet è estremamente rilassante e piacevole, soprattutto se viene accompagnata dalla musica. La musica, dal canto suo, non è mai sopraffatta dalle parole che rimangono sostanzialmente sulla carta e nella mente di chi legge, lasciando che siano i contenuti strumentali a creare la giusta atmosfera. Come per la trilogia di “Celestina” la voce limpida e rassicurante di Meg Maryatt viene inserita con grande parsimonia in un contesto musicale che prima di tutto assicura un dolce fluire di emozioni. Le atmosfere sono sempre meditative e molto ampie, ma forse ancora di più che in passato acquisiscono colorazioni “terrestri”, grazie alle piacevoli tonalità vintage delle tastiere ma anche grazie a leggere spolverate di soft folk che non rendono fuori luogo accostamenti con gruppi come Fairport Convention, anche se qui tutto è più spirituale e celestiale e ricoperto da una leggera ma ben identificabile veste sinfonica. Qua e là ritroviamo qualche particolare elettronico, come è ovvio in una storia che parla di intelligenza non umana, ma si tratta soltanto di abbellimenti di cui il gruppo non abusa o che provvede a mescolare con altri ingredienti in modo tale da non far prevalere sensazioni artificiali. Un esempio può essere l’effetto a cuore pulsante di “Isabel V”, o il delicato loop che somiglia quasi al frinire di una cicala alla fine di “Isabel IV”, traccia peraltro molto sinfonica nel suo complesso. Ma già dalla traccia successiva tornano archi, con viola e violino di Jean Sudbury e tastiere, con un grande lavoro svolto da Jackson Del Rey e dagli altri componenti che più o meno tutti hanno curato questo aspetto, a scaldare il cuore e fresche e microscopiche gocce di psichedelia e folk. Si potrebbe quasi dire che la musica arriva a toccare le corde dell’anima o dell’inconscio prima ancora delle orecchie e della corteccia cerebrale e riesce a trasmettere sensazioni pienamente positive, se ci si predispone sulla giusta lunghezza d’onda per un ascolto rilassato. Per la descrizione della musica potremmo tirare in ballo anche Amon Düül o Tangerine Dream, come ad esempio accade in maniera più evidente in “Isabel VIII”, dal retrogusto crauto, ma le sensazioni evocate sono sempre molto pacate e piacevolmente fluttuanti. Molto bella la scelta di ricorrere al Surbahar, strumento indiano simile al sitar, suonato dall’ospite Chris Bergstrom, che con i suoi ritmi offre vibrazioni piacevolmente psicotrope ed ascetiche. Direi che l’album riesce a fondere perfettamente l’aspetto tecnologico con quello umano e spirituale, mettendoli in relazione, e forse queste belle simmetrie musicali sono la chiave per capire se effettivamente dietro alla perfetta geometria di un fiore vi sia la prova di un progetto basato sull’intelligenza superiore. Questa ricerca verrà sviluppata lungo un percorso musicale che prevede la pubblicazione di altri due album, come accennato, e che saremo sicuramente lieti di percorrere se la strada è quella aperta da questo CD. I 17 Pygmies hanno sicuramente trovato un proprio universo musicale, una propria chiave di comunicazione e un proprio modo di rileggere alcuni aspetti tipici del Progressive Rock e direi che vale la pena fare la loro conoscenza, specie se state cercando qualcosa in cui immergervi totalmente lasciando che tutte le percezioni siano ricoperte da questa sorta di liquido scintillante fatto di melodie eteree. Una citazione speciale la riservo per il pezzo di chiusura “Kyrie”, una splendida ballad romantica e sinfonica con delicati ricami orchestrali e morbidi tratteggi vocali che sicuramente è la porta di ingresso verso l’ancora ignoto secondo volume di “Isabel”.
|
Jessica Attene
Collegamenti
ad altre recensioni |
|