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OPEN THE PAINTBOX |
The Sirius mystery |
autoprod. |
2013 |
ITA |
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Open the Paintbox è il nome che hanno scelto il pianista-tastierista Fabrizio Tuzza e il chitarrista Giovanni Costantino per far conoscere la loro musica. Puntando su un concept album che trae ispirazione dalle conoscenze relative al sistema stellare di Sirio da parte della popolazione africana dei Dogon, il duo ci offre la propria visione del progressive rock attraverso un lungo lavoro interamente strumentale. Con una vena di languido romanticismo, “The Sirius mystery”, si dipana attraverso una serie di diciotto tracce per quasi ottanta minuti di musica. In tre occasioni i brani sono legati l’un l’altro, senza soluzione di continuità, a formare delle lunghe suite. Spunti già interessanti si vedono in quella di apertura, intitolata “The origin – The red giant star”, che parte con atmosfere pacate, vagamente floydiane, e che per oltre sedici minuti regala fini tessiture con una chitarra piangente che indirizza verso lidi cari ai Camel ed un romanticismo di fondo di gradevole ascolto. Molto bello il piano classicheggiante di “The Sirius mystery”, che in due minuti e mezzo riassume elegantemente il tema portante del disco. A questo punto le coordinate sono state presentate al meglio e non ci sono grosse sorprese nel prosieguo dell’album. “Echoes in the twilight”, suddivisa in quattro tracce per un totale di quasi diciannove minuti, diventa forse il picco dell’opera e il momento forse anche più vivace, con qualche sferzata chitarristica più pungente. Si prosegue su questa scia di rock romantico fino alla fine, con i Camel sempre in bella vista e qualche momento particolarmente pacato quasi vicino alla new-age. Unico brano un po’ più particolare è “Silent stars”, che in otto minuti sembra ereditare certe esperienze di Mike Oldfield, riportando alla mente sia il sound sognante più classico, sia quel lato “techno” di “Tubular bells 3”, con ritmi ballabili. Ecco, a proposito di ritmi, possiamo anche dire che la batteria elettronica non è mai fastidiosa, anche se in alcuni frangenti appare un po’ statica. Sono tuttavia altri due i difetti principali riscontrabili. Innanzitutto non convincono affatto alcune scelte timbriche riguardanti le tastiere, che a tratti sono talmente sintetiche da sembrare delle basi di karaoke o di videogiochi. Poi c’è l’eccessiva durata di un disco completamente strumentale. Peccato, perché le idee buone ci sono, ma rischiano di perdersi in lungaggini che non permettono di seguire al meglio quanto proposto dal duo. A piccole dosi, quindi, questo cd può regalare piacevolissime sensazioni, soprattutto a chi adora gli artisti che traggono spunto dai Camel; ascoltato nella sua interezza può risultare abbastanza pesante…
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Peppe Di Spirito
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