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HUMBLE GRUMBLE |
Guzzle it up |
AltrOck |
2013 |
BEL |
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Prosegue, per fortuna, il percorso musicale di questo splendido combo belga. Prosegue con immutata freschezza e, pur con basi ferme e assolutamente solide, con grande innovazione sonora e piacevoli sorprese. Se per molti può risultare ossimorico ed improponibile accostare coerenza e innovazione, credo che per band di questa natura sia cosa all’ordine del giorno. I punti fermi restano Frank Zappa e i Gong di Daevid Allen, ma non è raro trovare riferimenti a gruppi che ruotano intorno alla musica sperimentale e d’avanguardia, prevalentemente nord americani e nipponici. Le strutture dei brani sono quelle “classiche” del genere, jazz rock- Canterbury, folk e progressive. Ma qui c’è qualcosa in più a personalizzare il tutto, perché la grande capacità della band di unire a questi temi, strutture complesse e variabili, poliritmie estremamente articolate e linee di canto ironiche e, a tratti, persino melodiche, non è certo cosa leggera e alla portata di tutti. Tra la band base e i molti ospiti, sembra quasi di essere al cospetto di un’orchestra, ma ogni elemento è definito ed indispensabile per creare quell’impatto deciso e ricco, chiaramente rilevabile in ogni momento del divertente ascolto del lavoro. Leader, compositore, arrangiatore e produttore di ogni aspetto musicale è ancora e sempre il bravissimo Gabor Humble Vörös, che si occupa anche delle chitarre e della voce principale. Ma è bene rammentare che ogni musicista sa farsi avanti con tocchi personali e di grande rilievo, per iniziare Callens e da Isoherranen, batteria e basso, che dimostrano di trovarsi a proprio agio con qualsiasi soluzione ritmica scovata dal leader con bravura e precisione stellare. Piccola novità è il (blando) utilizzo di tastiere, diteggiate ancora abilmente da Isoherranen. Grande spazio ai fiati, ai cori, al vibrafono, in girandole sonore davvero appassionanti. In questo senso la spettacolare opener “Kurt’s Casino” è emblematica e rappresentativa di tutto quanto detto, condensando in dieci minuti ogni ipotesi possibile di tempi dispari, ironia, fantasia, RIO, sonorità mediorientali, Canterbury sound e sperimentazione. Notevole e degno di riascolti infiniti è l’altro brano lungo “The Dancing Dinosaur” apparentemente più secco e duro, ma con partiture da brivido e un guitar solo snocciolato in trentaduesimi, in un tempo che segna 10/8 di grande lustro. Tra i brani più brevi e sapientemente arrangiati per essere presi al volo come scosse da 380 Volts è impossibile non citare “Skunks”, nella quale si trovano a convivere una grande prova vocale tra voci profonde e falsetti agghiaccianti, chitarre penetranti, un sax che assume l’aspetto ritmico di una chitarra frippiana e smottamenti di vibrafono a scombussolare in stile Underwoodiano. Spettacolo! Dinamica e teatrale, con aspetti zappiani e da musical è “Pate a Tartiner”, parodia di tutto e anche di sé stessa, immagino il folle divertimento a suonare un brano di questo genere e immagino anche gli occhi spalancati dei musicisti nel vedere partiture di questo tipo. Chiudo consigliando in maniera viva questo “gozzovigliante” lavoro che, grazie alle sue molteplici caratteristiche, potrebbe piacere ad un gran numero di appassionati.
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Roberto Vanali
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