|
ION SOURCE |
Colors |
autoprod. |
2013 |
ITA |
|
Gli Ion Source nascono nel 2006, dopo che alcuni ex esponenti della death prog metal band Phrenastenia si erano rimessi assieme a suonare. Ad oggi, di quel nucleo sono rimasti il bassista Andrea Berardinelli ed il chitarrista Marco Durpetti. Viene chiamato alla voce Giovanni Biagiola, il quale dimostra un’ampia estensione vocale che caratterizza la drammaticità dei brani. Per l’album di debutto, visto il posto vacante dopo l’addio di Paolo Lucci, la batteria viene suonata da Marco Bianchella (Dogma, Gunfire). Il gruppo italiano sostiene di poter essere inserito nel filone prog… Un’affermazione alquanto ardua da sostenere. “To the horizon line” e soprattutto la title-track, poste in apertura farebbero più che altro pensare ad un post-grunge che ha eliminato le asprezze e le spigolosità della matrice iniziale a favore di un’evoluzione maggiormente “levigata” e studiata, in cui viene posto l’accento sull’evocazione da atmosfera. Belli i suoni, bella la produzione se non la si vuole inserire a forza nel filone prog, soprattutto la timbrica della chitarra risulta parecchio convincente, col basso che si muove nell’ombra. “Air” è un po’ l’estensione dei brani precedenti, con degli acuti vocali che potrebbero ricordare alla lontana Geoff Tate o il vecchio Damian Wilson, mentre gli intrecci di basso che aprono “Illusions” sono effettivamente significativi di una complessità maggiore. Assai nostalgica e poetica la prova vocale di Biagiola, vicino persino a Francesco Renga. Buona anche la successione strumentale, che a sprazzi dipinge macchie floydiane su una tela cupa, col basso di Berardinelli che dice costantemente la sua. Se “In the street” si mostra già più sostenuta, con un altro intermezzo strumentale assai riuscito dal punto di vista compositivo, “Last time” apre con un arpeggio di chitarra acustica che la differenzia dal resto dell’album, per poi dar sfogo alle acrobazie di Berardinelli che avvicinano di più la band verso il mondo prog. “No religion”, anche se suscita qualche perplessità, ha un bell’assolo di chitarra e poi chiude sempre con il basso inesorabile che accompagna la coda atmosferica, concludendo con “9”. Quest’ultimo pezzo ha una degna apertura chitarristica ed un riff che è ancora una volta sostenuto da una gran cavalcata sconnessa di basso. Lo si ribadisce: magari i nostri sono sinceramente convinti di fare prog, in quanto si impegnano molto nel ricreare un certo codice musicale che risulti il meno scontato possibile. Ma le cose non stanno affatto così. Qui né si ricreano gli schemi (anche fin troppo abusati) del progressive né tanto meno si va oltre e si plasma qualcosa di nuovo, nonostante le buone intenzioni. Si tratta però di buona musica, che dovrebbe comunque differenziarsi un po’ di più, in quanto sembra spesso di ascoltare un unico lungo brano. Il consiglio è sempre quello di frequentare circuiti più vicini alla propria proposta musicale effettiva, evitando un’inutile e non proficua dispersione. Sono entrati da poco in pianta stabile il batterista Luca Sajeva ed il chitarrista/tastierista Giorgio Mariani, con i quali verrà presentato l’album dal vivo.
|
Michele Merenda
Collegamenti
ad altre recensioni |
|