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ANIMA MUNDI |
The lamplighter |
autoprod. |
2013 |
CUB |
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Che gli Anima Mundi non fossero più quelli di “Septentrion” lo si era capito già nei due capitoli successivi e cioè “Jagannath orbit” e “The way” in cui la componente sinfonica aveva preso pesantemente e decisamente il sopravvento su quella sottilmente etnica dell’esordio. Le atmosfere si erano fatte vieppiù trionfali, con tastiere ridondanti ben coadiuvate dalla chitarra elettrica. Insomma, i due leader riconosciuti, Roberto Diaz e Virginia Peraza si erano avventurati a grandi passi verso un new prog dall’ampio respiro e dal gusto decisamente “europeo”. Questo nuovo “The lamplighter” (registrato oltre che a Cuba anche in Olanda) è diviso in tre brani: la suite omonima (di oltre 20 minuti, divisa in 4 movimenti), “Tales from endless star” (anch’essa ripartita in 4 sezioni, per oltre 26 minuti totali) ed “Epilogue” (a sfiorare i 7 minuti). Oltre a Diaz (chitarre e voce) e alla Peraza (tastiere voce), completano la line up il bassista Yaroski Corredera, il batterista José Manuel Govin (già presenti in “The way” del 2010) ed i nuovi Anaisy Gomez (clarinetto) e soprattutto Emmanuel Pirko-Farrath, il nuovo vocalist. Le coordinate stilistiche sono ormai più che consolidate con validi impasti vocali a ricordare, senza dubbio gli Yes, e sgargianti tastiere a dettare le melodie principali assecondate con gusto dalla chitarra di Diaz in una alternanza ben definita e ottimamente amalgamata. L’impatto melodico è sempre al centro delle composizioni ma, è bene dirlo, mai scade nello stucchevole pur non facendo gridare certo al miracolo. Il mood scintillante e brillante è ormai parte integrante del progetto (e non stupisce o allarma più di tanto) per questo, quasi per paradosso, l’ispirazione massima la si riscontra in un paio di strumentali (“The return pt. 1” ed “Endless star”, entrambi estratti dalla seconda suite della raccolta). Il primo è uno splendido bozzetto acustico dall’aura quasi rinascimentale; il secondo caratterizzato da un imprinting space e dilatato non insensibile alla lezione floydiana e ricco, poi, dei soliti virtuosismi della Peraza. Altrove, come nella suite iniziale, gli svolazzi tastieristici e la bella voce di Pirko-Farrath (non sempre a suo agio con l’inglese però…) ben disegnano la composizione con la chitarra tagliente di Diaz e la ritmica sostenuta degli altri. Colpisce in tutto l’album l’attenzione certosina posta alla pulizia dei suoni, per una produzione veramente ottimale e moderna. Un bel lavoro, dunque, che certamente non brilla per originalità, ma che è decisamente di piacevole ascolto e che conferma gli Anima Mundi fra le più belle realtà del prog sinfonico mondiale, il che non è sicuramente poco.
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Valentino Butti
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