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MUSEO ROSENBACH |
Barbarica |
Immaginifica |
2013 |
ITA |
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Il ritorno del Museo Rosenbach era scontato e auspicabile, dato l'incredibile e quasi imbarazzante fiorire di ricostituzioni di band di rock progressivo italiano che in certi casi sono sembrate, a dir la verità, un po' improbabili. Si sentiva forse il bisogno di una sorta di faro guida che riportasse ordine in una scena ormai nostalgica all'inverosimile. Se nostalgia doveva essere, quindi, che fosse di qualità assoluta. Il Museo Rosenbach può rappresentare questo ruolo a pieno diritto, forte dell'aver consegnato alla storia un solo album asceso allo status di capolavoro, venerato e considerato come imprescindibile anche al di fuori dei nostri confini. Dopo l'abbandono del Tempio delle Clessidre da parte di Lupo Galifi, che con il gruppo genovese aveva permesso in epoca recente di tenere viva la fiamma del ricordo di “Zarathustra”, i nodi sono venuti finalmente al pettine, e con essi il tempo di riprendersi un'eredità scomoda ma autorevole. Il nucleo storico della band è rappresentato, oltre che da Galifi, dai due Matia Bazar Alberto Moreno e Giancarlo Golzi, accompagnati da alcuni capaci musicisti che contribuiscono a ricreare un suono compatto e rispettoso di quello per cui il Museo Rosenbach è conosciuto. E il sound di “Barbarica” è, infatti, la prima cosa che colpisce. Ciò che viene fuori dai diffusori ascoltando “Il respiro del pianeta” è credibile, intenso e convincente. Si intuisce subito che è stato fatto uno sforzo per non snaturare un marchio di fabbrica importante, soprattutto nei primi due brani, quelli più accostabili alle sonorità di “Zarathustra”. “Il respiro del pianeta” e “La coda del diavolo” sono un concentrato di rock progressivo italiano nel senso più classico del termine: due agglomerati strumentali vari, a volte cupi, a volte più ritmati, fantasiosi e melodici ma ricchi di spunti hard. La voce di Galifi è impressionante, espressiva e roca, senza il minimo cedimento o esitazione, e anche i testi mostrano una certa aderenza a canoni estetici consolidati e un'evidente cura per l’argomento di cui trattano (principalmente la barbarie della guerra). Ottima anche la scelta dei suoni, che evita i timbri digitali dei synth per preferire una base di organo Hammond e linee soliste analogiche, con qualche parte di archi ben collocata a variare gli arrangiamenti, e un risultato finale che nonostante tutto non sa di “vecchio”. Le chitarre (sono presenti due chitarristi e due tastieristi) caratterizzano efficacemente tutto l'album, donandogli un attitudine veramente rock, tra riff e arpeggi suonati con gusto invidiabile. Dopo due brani di così elevata qualità, sono rimasto un po' deluso dalla struttura più semplice della successiva “Abbandonati”, un mid-tempo hard rock con buone linee melodiche che passa all'ascolto senza lasciare il segno, nonostante non sia affatto sgradevole. Meglio la successiva “Fiore di vendetta” e ancor più “Il re del circo”, contenente alcune linee melodiche veramente belle. “Barbarica” è in conclusione un gran bel disco, con alcuni brani ottimi e altri almeno discreti, esattamente quello che ci si doveva aspettare dal Museo Rosenbach nel 2013, ed è la dimostrazione di come l'esperienza ed il talento possano produrre, a distanza di tanti anni, della musica che non fa rimpiangere il passato. Non ci resta che ascoltarlo scommettendo su quale sarà la prossima reunion.
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Nicola Sulas
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MUSEO ROSENBACH |
Exit |
2000 |
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