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VIOLENT SILENCE |
A broken truce |
Progress Records |
2013 |
SVE |
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I Violent Silence tornano dopo un discreto gap temporale, a distanza di ben otto anni dal precedente album “Kinetic”, con cambiamenti in formazione che portano un nuovo cantante, Martin Ahlquist, ed un nuovo bassista, Anders Lindskog, mantenendo la coppia di tastieristi formata da Hannes Ljunghall e da Björn Westén. Manca ancora la chitarra elettrica, come da sempre avviene in questa band, fin dall’esordio del 2003, ed in compenso anche il batterista Johan Hedman offre un suo contributo tastieristico. Il risultato è un potenziamento della sinfonicità che rimane comunque confinata in un ambito molto melodico e romantico, con sonorità New Prog, più che vintage. Riguardo alla chitarra, non ne sentiamo proprio la mancanza visto che il sound riesce ad essere abbastanza pieno così come è. Non vi sono più derivazioni metal e anzi, i riferimenti ora oscillano fra Camel (molto poco) e Genesis (un po’ di più), con sentori che a volte ci riportano ai polacchi Collage o, come già segnalato in passato per i precedenti album, ai connazionali Twin Age. Un grosso contributo per risollevare le sorti di questo gruppo lo dobbiamo al nuovo cantante che presenta, se non proprio un’ugola d’oro, una timbrica piacevole e molto più precisa rispetto a quella del suo predecessore. Trovo forse un po’ discutibile invece la scelta di concentrare i 47 minuti dell’album in sole quattro tracce. Queste appaiono infatti piuttosto ingombranti e monolitiche, dando l’impressione di una eccessiva staticità e di una scarsa varietà. La stessa voce di Martin, spesso cantilenante, non aiuta la progressione della musica che scorre a volte con un po’ di torpore. I passaggi strumentali non li trovo sempre fluidi e le linee melodiche non hanno il dono di rimanere impresse granché. Non lamento la mancanza del classico ritornello cantabile, per carità, ma di belle arie, visto che in definitiva stiamo parlando di un disco abbastanza romantico. Lo spartito scorre come un flusso abbastanza compatto di note, con pochi alti e bassi e al termine dell’ascolto c’è davvero poco che possa portare con me a livello emotivo. A favore del gruppo posso dire che la volontà di realizzare un bel prodotto si percepisce distintamente nell’esecuzione pulita, nella produzione dignitosa e nella ricerca di qualcosa di equilibrato e non eccessivamente sgargiante. Il problema è che tutto scivola via fin troppo facilmente e, nonostante la massiccia presenza delle tastiere, queste appaiono poco appariscenti e nient’affatto temerarie e paradossalmente non mi sento di affermare che questa musica sia keyboard oriented. Album più che dignitoso, tirando le somme, in grado certamente di attirarsi qualche consenso ma dal quale, forse magari perché sono troppo esigente io, mi sarei aspettata un po’ di più.
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Jessica Attene
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