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THREE MONKS |
The legend of the holy circle |
Black Widow |
2013 |
ITA |
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Giungono al secondo album i Three Monks guidati dal tastierista e compositore Paolo “Julius” Lazzeri, che anche stavolta presenta una formazione in trio, facendosi coadiuvare da Maurizio “Bozorius” Bozzi al basso elettrico e alternando i due batteristi Claudio “Ursinius” Cuseri e Roberto “Placidus” Bichi. Rispetto all’esordio si nota in questa occasione un maggior utilizzo di sintetizzatori, così, anche se l’organo resta comunque in primissimo piano, c’è una somiglianza ancora maggiore con quel tipo di rock sinfonico triangolare portato al successo negli anni ’70 da Emerson, Lake & Palmer. Non siamo di fronte, tuttavia, ad una mera clonazione, anche se certi paragoni diventano praticamente inevitabili. I Three Monks, fondamentalmente, non fanno altro che confermarsi, puntando su quel ramo del prog che con faciloneria taluni vedono come il più kitsch, ma che pure sa regalare emozioni quando è proposto con gusto e abilità (ed è sicuramente questo uno di quei casi). Il trio cerca di trasmettere il fascino del mistero, del gotico, dei timbri tastieristici e in particolare di quelli dell’organo, che sembra quasi venerato come una potente e arcana divinità da Lazzeri. Le trame classicheggianti si sposano alla perfezione con i ritmi rock, vengono create con efficacia atmosfere da vecchi film horror e il carattere solenne delle esecuzioni dona al tutto una forte carica energetica. Lazzeri e soci continuano il loro percorso sonoro caratterizzato da una musica al contempo barocca e dark, mostrando nuovamente di far convergere in un’unica direzione la maestosità del più celebre trio del progressive rock e l’inquietudine oscura e asfissiante dei Goblin. Le sette composizioni originali, tutte strumentali, vanno sempre in queste direzioni, strizzando l’occhio a “The endless enigma” e “Profondo rosso” (e ricordando anche quel “Gothic impressions” con cui facevamo la conoscenza di Par Lindh), a tratti sembrando il perfetto accompagnamento di un rituale liturgico e andando anche più indietro del tempo riprendendo gli ancora attuali insegnamenti di Johan Sebastian Bach. Si tratta di brani articolati al punto giusto, a volte anche abbastanza lunghi, eppure scevri da eccessivi trionfalismi e complessità che potrebbero rendere indigesto l’ascolto. Album davvero ben fatto che, non deviando troppo dagli standard qualitativi del debutto, è destinato principalmente a quei progsters che adorano i lavori dominati dalle tastiere che spostano in una direzione più gotica le esperienze di ELP, per i quali si può rivelare un imperdibile gioiello. Innovazione non ne troverete, tanta ottima musica sì!
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Peppe Di Spirito
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