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BLUE DAWN |
Cycle of pain |
Black Widow Records |
2013 |
ITA |
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La Black Widow è sempre stata attenta a nuove proposte del mondo del prog, ma, al contempo, ha anche tenuto gli occhi vigili su quelle band che hanno voluto rinverdire i fasti del granitico sound con cui hanno fatto scuola i Black Sabbath. L’etichetta ligure, così, ha spesso puntato su artisti pronti a ripresentare quel doom che ha visto come capostipite la celebre formazione di Birmingham ed anche su chi, partendo da simili basi, ha provato a inserire elementi vari e personali, con risultati anche di grandissima qualità (penso in primis ai francesi Northwind). Tra le uscite più recenti, spicca di sicuro il secondo album degli italiani Blue Dawn, attivi dal 2009 e reduci anche da un tour in Gran Bretagna. Già la copertina sembra ricordare i già citati mostri sacri e, a conferma dell’influenza, ecco immediatamente un incalzante riff di chitarra ad aprire “The poker that be”, che ci fa entrare nel vivo di un lavoro dove il verbo di Toni Iommi e compagni trova ampia diffusione. I ritmi sostenuti fanno il resto e contribuiscono alla creazione di questo hard rock robusto al punto giusto e che pure si concede spazi per aperture melodiche, come dimostra la composizione appena citata che si conclude con la batteria a dettare tempi più compassati e con arpeggi di chitarra acustica, mentre l’elettrica rispolvera persino echi floydiani. Una componente che rende abbastanza peculiare il lavoro è data dall’ugola della cantante Monica Santo, che si erge un po’ a protagonista e che contribuisce a far intravedere delle similitudini con i primi Presence, con quel timbro di voce magari non così squillante come quello della ormai affermatissima Sofia Baccini, ma che dà comunque un effetto particolare e che non distanzia troppo la proposta dei Blue Dawn dagli album “Makumba” e “The sleeper awakes” della band napoletana. Ad ogni modo l’orientamento si mantiene, in generale, incentrato su questo doom sabbathiano (emblematica la title-track), con le ritmiche a volte funeree ed un’atmosfera oscura pronta a pervadere un po’ tutto il disco, eppure non mancano momenti che si discostano leggermente da queste caratteristiche. Ed ecco, quindi, che è possibile ascoltare episodi più particolari, come “Clone”, in cui spiccano l’intervento del sax a metà del brano ed un orientamento non distante dalle soluzioni tecniche-tecnologiche dei Rush, e “Dawn of contempt”, con due minuti di tinte dark di sole tastiere, che sembrano cupamente e lentamente disegnare trame che sarebbero perfette per una colonna sonora di un film horror. Altri tasselli strumentali sono poi rappresentati dalla docile “Aurora”, guidata dai tratteggi acustici della chitarra e da “Red Sun”, in cui dopo un inizio tastieristico è ancora la sei corde a prendere il volo in mille direzioni. Da segnalare poi che la traccia conclusiva, “In every dream home a heartache” è una bella cover dei Roxy Music. Sicuramente un lavoro riuscitissimo per i Blue Dawn. I componenti del gruppo Monica Santo, Enrico Lanciaprima (basso e voce), Luigi Milanese (chitarra) e Andrea Di Martino (batteria) possono essere soddisfatti del risultato finale, così come lo saranno senz’altro tutti coloro che non si stancano di ascoltare il sound duro, ipnotico e suggestivo inventato tanto tempo fa dai Black Sabbath
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Peppe Di Spirito
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