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UTOPIANISTI Utopianisti Lusti Music 2011 FIN

Viene sfornato dalla lontana Finlandia – terra musicalmente molto fertile – un progetto veramente particolare che recupera il dissacratorio spirito zappiano, specificando in anticipo che non vi è emulazione, bensì un forte sarcasmo che vien fuori dai dodici brani (quasi) interamente strumentali. L’autore del “folle disegno” è il polistrumentista Markus Pajakkala, batterista, tastierista, sporadicamente cantante e suonatore di strumenti a fiato vari. Già la scelta del monicker risulta tutto un programma, in quanto si tratta di un doppio gioco di parole: il primo prevede l’unione delle parole “Utopia” (altro rimando a Zappa…) e “pianisti”, che anche in finlandese corrisponde al nostro “pianista”; ma siccome quasi non vi è traccia di pianoforte nelle composizioni, ecco il secondo abbinamento, che prevede una composizione tra la già citata “Utopia” e “nisti”, parola finnica che vuol dire “drogato”.
Così, dopo la brevissima introduzione, si comincia con “Plutonium fist”; un’apertura col botto che, come i pezzi immediatamente successivi, ricorda le ironiche e schizzate composizioni di “The adventures of Bumblefoot”, primo album strumentale del chitarrista americano Ron Thal, che con dei rimandi da caos urbano omaggiava anch’egli l’approccio zappiano. Tra l’altro questo è l’unico brano in cui si possono sentire delle autentiche acrobazie chitarristiche, ad opera di un ottimo Tom Gardiner che purtroppo non ricomparirà più. Pajakkala si affida alla collaborazione di tutta una serie di musicisti, molti dei quali suonano anch’essi i fiati, creando così una sorta di… maionese impazzita! “Grain de l’âme” è un altro gran pezzo in cui gli ottoni vengono sfidati da un organo irriverente, che poi affida gli attimi di quiete alla narrazione tessuta dal piano elettrico e dal flauto (qualche rimando a Par Lindh, forse?). Medesime ritmiche da traffico cittadino in “Avaruuden shamaanit”, a cui fanno seguito un paio di pezzi che vertono più sull’irriverenza propriamente zappiana, aprendo per l’appunto con “Waltz for FZ”. Valzer pacato ed ironico, sfociante alla fine nel jazz sperimentale, che non può non ricordare con i suoi fiati quasi circensi le composizioni che sapevano tanto di sfottò del genio di Cucamonga. Ancora una volta ottima la base di organo, che si rivela una scelta determinante nell’economia di certe strutture. Terminando il tributo con “Castro brothers”, inizia un nuovo filone, stavolta apparentemente dedicato alla musica klezmer; dopo le prove generali nella percussiva ed insinuante “Kärry”, il pezzo forte arriva con “Markus-sedän letkeämpi klezmer”, dove ci si diverte davvero e sarebbe stato bello sentire questa partitura come colonna sonora di qualche pellicola cinematografica. Ad un tratto spunta dal nulla pure il sitar, per un effetto davvero straniante che poi si catapulta nel precedente ritmo sfrenato. Un po’ di relax con la fisarmonica da quartiere latino in “Bordeaux”, per tornare al klezmer più scatenato di “Hopeinen kyy”, un amalgama di strumenti e suoni che, con i suoi cambiamenti di ritmo, risulta uno dei momenti migliori in assoluto, da sentire fino alla fine con tutte le sue variazioni e l’intensità degli strumenti ad archetto. “Sull'on mies joka planeetalla” è l’unico pezzo in cui possiamo sentire la voce del nostro Markus. In un certo modo più vicino al rock tradizionale (affermazione da prendere comunque con molta ma molta cautela!), che con la lingua finlandese, chissà perché, dà l’impressione di sentire qualche sigla di cartoni giapponesi. Chiude l’inesorabile “Tuonelan latturi”, con un organo cupo e ficcante.
Il primo lavoro della creatura di Markus Pajakkala non è affatto semplice e presenta degli evidenti effetti collaterali, capaci di spiazza l’ascoltatore come non mai. All’inizio potrebbe non piacere ma poi, dopo diversi ascolti, si potrebbe cambiare idea. Così come in un primo momento ci si potrebbe sentire conquistati per mutare opinione subito dopo. Di sicuro c’è tanta allegria ed inventiva, andando oltre i soliti schemi. Sì, chi ascolta queste sonorità potrebbe trovare tanti paragoni che orbitano sempre nell’orbita dello sberleffo zappiano, ma in questo caso specifico sembra che ci sia anche una ricerca di musica popolare che impreziosisce oggettivamente la proposta. L’album è molto buono, all’inizio va assimilato con relativa cautela, per poi spararselo a tutto volume.
E che divertimento sia!


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Michele Merenda

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