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AISLES |
4:45 AM |
Presagio Records |
2013 |
CHI |
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Cosa si può dire, nel 2013, in ambito new-prog, che non sia stato già detto? In realtà proprio niente, eppure sono ancora tante le band che amano cimentarsi in quelle strutture e in quelle sonorità che negli anni ’80 provavano a dare nuovo vigore e nuova verve ad un genere che, almeno per le grandi masse e per l’industria discografica, sembrava morto. Così come sono tanti gli appassionati che ancora si emozionano ascoltando composizioni articolate in un certo modo, chitarre aggressive ma non troppo, tastiere dal sapore sinfonico, variazioni ritmiche e di atmosfera. Tra i gruppi che continuano a mantenere viva la scena new-prog, ottenendo risultati accettabili e godibili, ci sono sicuramente i cileni Aisles. Attivi dal 2001, non sono proprio il massimo della prolificità, visto che con “4:45 AM”, dopo dodici anni di carriera, sono al terzo album, ma bene o male non deludono le aspettative. Si presentano in sestetto, con due chitarristi e la classica strumentazione, pronti a far valere le proprie qualità e a cercare, con successo, di far trasparire una certa personalità in una proposta che non fa dell’originalità il suo punto forte, ma che da un punto di vista formale è ineccepibile e non si presta a critiche negative. Già con la title-track che apre il cd la band fa capire bene in che direzione intende muoversi, mostrando quelle caratteristiche già descritte, magari con un pizzico di potenza in più. In seguito possiamo ascoltare il momento più romantico, quello con i riferimenti ai Marillion, ai Genesis e ai Camel, quello in cui si mettono maggiormente in luce le capacità tecniche, quello più orecchiabile e vicino al pop, quello più umbratile, quello dalle melodie un po’ stravaganti e così via, senza mai estremizzare nulla e con testi in inglese. Gli ingredienti sono tutti lì, precisi, ben selezionati e dosati, che fanno risaltare certi sapori e pronti ad accontentare i gusti di un buon numero di seguaci delle ricette new-prog. I picchi sono forse rappresentati dalla bellissima strumentale “Gallarda yarura”, dalla delicata ballad semiacustica “The sacrifice” e dalla sequenza finale formata da “Sorrow”, “Hero” (altro strumentale) e “Melancholia”, che con la loro ampia durata (circa sette minuti, otto e quasi undici rispettivamente) e gli inserimenti di archi permettono ai musicisti di liberare la loro fantasia in forme care al rock sinfonico. Menzione di lode anche per l’artwork, ben curato, che riscuoterà i favori soprattutto di chi apprezza i tratti fumettistici. Nel complesso un disco professionale e retro da 6 e ½, voto che si può incrementare anche di un paio di punti per chi non è mai stanco di ascoltare certe sonorità.
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Peppe Di Spirito
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